Regia di Giuseppe Ferlito (II) vedi scheda film
Presto farà notte (fonda) per questo sconclusionato oggetto di casa nostra.
L'oblio è una certezza, la sola destinazione possibile. Dovrebbe (vorrebbe) essere cinema invece sembra un format televisivo, uno di quelli che parla di ggiovani - mostrandone le brutte devianze e inevitabili derive tra droga party, moti di rivolta e degrado sociale - ma con fare sensazionalistico, in modo da metter su il consueto carrozzone di presunti esperti e tuttologi a cianciare di quello che non conoscono. Un programma senz'altro fallito, quand'anche - ma di ciò non vi è sicurezza - le intenzioni fossero genuine.
Il «ma come cavolo parli?» proferito dalla malcapitata Chiara Caselli è l'unico (involontario) "momento verità": difatti tutta la tematica - qualunque essa sia (scontri generazionali, rapporti madri-figlie, disagio giovanile ecc.) - è un compendio di frasi fatte, di formule ricalcate, di contesti anonimi (vedi lo scenario derivativo - sulla scia di The Ward di Carpenter, per intenderci - della "strana" clinica psichiatrica dove la protagonista viene spedita in rehab: singhiozzi horror/onirici e dello squallore quotidiano sono garantiti), di scene (s)composte random guardando un po' ovunque ed addirittura evocando accostamenti improbabilissimi (la donzella stesa sul letto mentre l'uomo ne spennella la schiena con disegnini ed espressioni gergali da T9: per fortuna Greenaway non ne saprà mai nulla).
A tutti gli effetti lo stridore è la "poetica" dell'opera: a indurre la condizione sono il susseguirsi pasticciato e insensato di sequenze scollegate per toni e contenuti (forse per allungare il brodetto), la scelta di intrecciare più fili narrativi ed estetici senza che vi sia un minimo di armonia tra le componenti, il perdere per strada suggestioni sulle quali si era fino a un attimo prima insistito, i repentini cambi di direzione e registro (che non spiazzano, semmai infastidiscono), e la fragilità della tesi, infranta sotto i colpi di una sceneggiatura assai lacunosa e sbrigativa.
Il colpo di grazia lo danno le interpretazioni da fiction istituzionale, la musica onnipresente - spesso tediosa (da salvare solo nell'unica scena riuscita, quella nel bianco dissolversi dei ricordi e dei sogni ambientata sulla pista di pattinaggio sul ghiaccio) - e i numerosi momenti frenetici, in (mestissimo) stile videoclipparo.
Dopotutto, Presto farà giorno è un filmetto soporifero e dimenticabilissimo.
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