Regia di Walter Veltroni vedi scheda film
Cantava Gaber: «Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona». Lo amavano in tanti, lo rispettavano tutti. E allora: il sorriso di Berlinguer, la sobrietà e la generosità, il rigore morale, le parole quasi poetiche, la fermezza (contro il fascista e il maschilista, ad esempio). Ma anche il PCI al 34%, la via italiana ed europea al comunismo (il “socialismo nella libertà”), il compromesso storico, Moro, Craxi, la marcia dei 40 mila. C’è tutto questo, nel film di Veltroni, a spizzichi e bocconi. Ci sono i testimoni: Tortorella, Scalfari, Napolitano, Ingrao, Jovanotti (Jovanotti?), Bianca Berlinguer, il caposcorta Menichelli commosso e commovente. E c’è Veltroni, naturalmente, che dice «ci sono anch’io». Documento, memoria, testimonianza, omaggio. Quando però tocca al “cinema” arrivano i guai. I giornali al vento nella piazza vuota (sigh), la musica ridondante che invoca la lacrima, i languidi lirismi. Il meglio sta nei filmati d’archivio, e questa è una constatazione ma anche un giudizio critico. Vedere l’ultimo comizio a Padova fa sempre male. La fine drammatica di Berlinguer. La drammatica fine del PCI. «Qualcuno era comunista», cantava Gaber. Ma Veltroni sembra voler dire che, in senso stretto, non lo fosse neanche Berlinguer. E qui sta l’operazione politica («Forse era solo una forza, un volo, un sogno...»). Dubitiamo che i giovani apolitici e senza memoria, intervistati a inizio film (furba retorica), correranno a vederlo. Se lo facessero, scoprirebbero che cosa nobile e appassionante può essere la politica, quando è fatta da un uomo (politico) vero.
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