Regia di Walter Veltroni vedi scheda film
Walter Veltroni è stato un ottimo direttore de L’Unità, un buon ministro dei Beni Culturali con il primo governo Prodi, un pessimo segretario di partito e candidato premier, come sindaco di Roma non saprei. Nell’arco di tutti questi incarichi Veltroni è stato costantemente un cinefilo, un appassionato di cinema che ha avuto il privilegio di scrivere sul Venerdì di Repubblica e da alcuni anni sul mensile Ciak. Registrata la sconfitta personale e di un’intera classe politica scrive libri, romanzi e da poche settimane ha diretto un documentario QUANDO C’ERA BERLINGUER. A trent’anni dalla morte un doveroso ricordo del terzultimo grande segretario del P.C.I. Si parte con la memoria perduta, pochi tra i giovani sanno chi era Enrico Berlinguer, un sondaggio non così disastroso che si chiude con Mastroianni memore di un canto Navajo che dice: “Tutto quello che hai visto ricordalo perché tutto quello che dimentichi ritorna a volare nel vento”. La biografia del segretario scorre dagli esordi antifascisti anteguerra alla breve prigionia nel carcere di San Sebastiano di Sassari, città natale e di studi. Le immagini di lui giovane comiziante anticipano l’ascesa casuale e innovativa a segretario nel 1972. Fin da subito esprime la sua personalità unita ad un carisma unico che si impongono all’attenzione del popolo della sinistra nelle piazze e nelle tribune elettorali televisive. Nel ’73 durante una visita in Bulgaria viene coinvolto in un misterioso incidente stradale. Egli confiderà a pochi il sospetto che si trattava di un attentato mascherato e non riuscito. Per approfondire la storia leggere e vedere il materiale curato dal giornalista Giovanni Fasanella. Sono i prodromi o se si preferisce le prime conseguenze dell’idea del compromesso storico nato anche come risposta-contrapposizione al golpe in Cile di Pinochet. Famosi i tre articoli scritti per la rivista Rinascita, in cui si pongono le basi del suo pensiero a riguardo. Inoltre la situazione nel nostro paese non è meno a rischio con le bombe e le stragi, i sequestri e l’affermarsi delle Brigate Rosse, sorte in antinomia al partito comunista. Quest’ultimo nel ’76 raggiunge il 35 % alle lezioni politiche, ciò vuol dire che un italiano su tre è comunista. Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di prigionia, il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro viene ucciso da un commando di brigatisti. Con la morte di Moro tramonta il governo di larghe intese ante litteram (idealizzato con ben altri auspici di quelli odierni). Berlinguer accompagna il partito verso l’eurocomunismo, accelerando di fatto l’affrancamento dall’Urss che ha esaurito la sua spinta propulsiva e dall’intero blocco comunista dell’Est. Sta ancor di più dalla parte degli operai pagando con alcune sconfitte come “la marcia dei 40.000” colletti bianchi della FIAT che si oppongono agli scioperi sostenuti in trincea dal P.C.I. Nel documentario non viene ricordato, ma Agnelli non concepiva un uomo senza patente, quale era Berlinguer. Un uomo d’altri tempi? No, un uomo onesto e sincero, amato dalla sua gente e rispettato dagli avversari. Negli anni ottanta, oltre allo strappo con l’Urss, la politica Berlingueriana marca le distanze dal Craxismo che ha sostituito agli ideali socialisti la scelta del pentapartito, di governare con il centro e di non voler unire le forze di sinistra. I nani e le ballerine, il rampantismo e la Milano da bere sono dietro l’angolo. La questione morale diventa il vessillo del comunismo italiano targato Berlinguer. Dieci anni dopo scoppierà tangentopoli e lui forse probabilmente avrebbe traghettato il comunismo dal volto umano verso una nuova alba, un diverso sol dell’avvenire. Ai primi di giugno del ’84 il segretario sardo fa comizi ovunque, al termine della campagna per le europee a Padova porta a conclusione con molta fatica il suo ultimo discorso: “Non l’Italia della P2 ma quella libera e democratica…invito tutti a impegnarvi…lavorate tutti casa per casa, azienda per azienda, strada per strada…”. Era un ictus, un’emorragia cerebrale in corso, pochi minuti dopo cadrà in coma e morirà l’11 giugno. Scena emotivamente insostenibile quella del comizio, a cui seguiranno i funerali (filmati da un collettivo di registi) con la più grande affluenza di gente mai vista per un politico, un mare di persone unite dal dolore. Berlinguer lascerà un vuoto incolmabile nei cuori e nei ricordi di tutti.
Il documentario di Veltroni infila nella cronistoria del personaggio frammenti di film (come il mitico BERLINGUER TI VOGLIO BENE), super8 personali, documenti d’epoca, testimonianze più o meno eccellenti in cui risaltano la semplicità dei ricordi dell’autista o del compagno di Padova. Non ci risparmia la commozione del dinosauro Napolitano, il compagno Pietro Ingrao in maglietta rossa che sta per tirare le cuoia, il redivivo Claudio Signorile, l’eterno Tortorella, Barbapapà Scalfari e Forlani senza bava ai lati della bocca. Discorsivo, retorico, agiografico, utile, democratico ma anche (per dirla alla Uolter) nostalgico. Come cantava Antonello Venditti…Dolce Enrico. Pugno chiuso d’obbligo.
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