Regia di Alberto Rodriguez vedi scheda film
Negli ultimi anni, il cinema spagnolo non è più solo, o quasi, riconducibile a Pedro Almodovar. Soprattutto quando si parla di opere di genere, il movimento iberico sta formulando una bella combriccola di autori/interpreti, tra i quali Alberto Rodriguez è il più prominente, accompagnato, tra gli altri, da Raul Arévalo e Antonio de la Torre, entrambi presenti - il primo come regista, il secondo come interprete - in La vendetta di un uomo tranquillo.
Bene, questo trio, seppure con distinti pesi specifici, si ricongiunge in La isla minima, un’opera dalla grande portata evocativa, che imbastisce un percorso rivolto a guardare anche alla Storia di una nazione, pur parlando di un caso di violenza efferata, senza farsi mancare nulla, tra tensione e sottotesti propedeutici alla stimolazione di ulteriori considerazioni.
Spagna, 1980. In un piccolo villaggio dell’Andalusia sono scomparse due ragazze. Per fare chiarezza sulla loro improvvisa sparizione, arrivano da Madrid Pedro Suarez (Raul Arévalo) e Juan Robles (Javier Gutiérrez), due detective di diversa estrazione.
È presto chiaro che non si tratti di un caso isolato, ricollegandosi a un passato di terrore e a traumi recenti che i radicali cambiamenti istituzionali in atto non possono cancellare da un giorno all’altro.
Nell’epoca del mordi e fuggi, La isla minima è un’opera ancora più preziosa. Non ha la smania di dover apparire a tutti i costi e soprattutto presta la massima attenzione a una miriade di dettagli.
La messa in quadro è curata senza lasciare alcunché al caso, l’aspetto paesaggistico (la palude) ha un ruolo importante e metaforico (il nuovo presente non ha la forza necessaria per tirare tutti fuori dalle secche del passato), mentre i comparti tecnici si prendono la briga di rendere abissali i contrasti tra la luce abbagliante del giorno e il buio della notte, quest’ultima propria di una vicenda macabra.
Preso atto di qualità organiche, la gestione dell’insieme fa la differenza. Alberto Rodriguez (Unit 7, L’uomo dai mille volti) denota un alto grado di controllo, propone un passo lento che ha il gusto del ragionato, attua focus sui dettagli (vedi i corpi dei cadaveri) ma soprattutto discerne scrupolosamente i caratteri principali. Il fresco passaggio dalla dittatura di Franco alla democrazia è uno spazio che regala risorse cui attingere, tra omertà e crimini sistematici, luoghi che inghiottono le persone senza doverne dare da conto, e due protagonisti divisi per formazione, con Pedro che vorrebbe spaccare il mondo in due, scontrandosi con il nuovo corso democratico, non ancora pronto a portare avanti una profonda rivoluzione.
Di fronte a questo scenario, che come stella polare predilige un’integrità analitica costituita un pezzo per volta, anche a discapito della spettacolarità e incastonando gemme preziose in costante successione, l’intrigo nella sua essenza assume un’importanza secondaria.
Per tutte queste ragioni, La isla minima sfonda gli argini, proponendo un preciso spirito di osservazione, un sottobosco nutrito (che si avvale della madre delle vittime, di un cacciatore di frodo e di un fotografo a caccia di scoop) e di un marciume che viene a galla, tra riflessi sociali e un’afa soffocante, parlando con equilibrio di uomini e motivazioni personali, trovando un prelibato amalgama tra le tante direttive messe in atto, senza trascurare elaborate composizioni in movimento (vedi un catalizzante inseguimento notturno in automobile) e un’originale impronta aerea dei magnifici titoli di testa.
Una delizia polifonica e ipnotica, realizzata da un autore da non perdere di vista.
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