Regia di Alberto Rodriguez vedi scheda film
Juan e Pedro, due poliziotti madrileni agli antipodi, vengono inviati in una cittadina sulle sponde del Guadalquivir per ritrovare due giovani sorelle scomparse. Le indagini avanzano in un clima plumbeo, con numerosi pericoli dietro l’angolo che renderanno le ricerche più problematiche di quanto auspicato.
Dieci statuette (tra cui quella di miglior film) alla 29^ edizione dei Premi Goya non sono un’esagerazione per “La isla minima, avvincente pellicola firmata da Alberto Rodrìguez Librero. Ispirato visivamente allo stile fotografico di Atin Aya, questo thriller dalle profonde riflessioni antropologiche, nasconde dietro la patina del poliziesco a tinte nere una profonda metafora storica sulla Spagna che esce dal periodo franchista e si avvia alla democrazia. È questo contrasto, perenne per tutta la pellicola, che ispira perfino la caratterizzazione dei due protagonisti: il poliziotto giovane, Pedro (Raùl Arévalo), è il simbolo della riscossa spagnola basata su democrazia e integralità morale, quello più anziano, Juan (Javier Gutiérrez) è legato invece alle torva e retrograda ideologia franchista. L’interesse ad indagare le controversie dei tutori dell’ordine era già centrale nel precedente lavoro del regista “Grupo 7”, anch’essa affidata alla sceneggiatura di Rafael Cobos, ma qui ad essere setacciato non è il mondo delle forze dell’ordine, bensì quello di una provincia spagnola arretrata e chiusa, incapace di guardare la realtà dei fatti, al punto da arrivare a coprirne anche gli atti più abominevoli.
Fondante è la location da noir rurale, sempre più in voga negli ultimi tempi (si pensi alla prima stagione della serie TV “True detective” o ai numerosi gialli scandinavi in uscita in questi mesi). Oltre alla location è tutta l’ambientazione a virare verso una specifica dimensione labirintica nella quale è semplice occultare: inafferrabile ai detective forestieri, navigabile solo a chi la conosce da sempre. Un po’ quello che accade in “Giorno Maledetto”, fonte di ispirazione dichiarata dallo stesso regista, in cui la natura selvaggia ed indomabile, unitamente alla perfidia degli autoctoni, provano a mandare fuori strada gli stranieri rompiscatole, che frugano nella calma (apparente) della comunità locale.
Quella di “La isla minima” è un’ambientazione cupa ed enigmatica, imperscrutabile perfino dall’alto, come testimoniano i numerosi intermezzi rappresentati da inquadrature perpendicolari che scrutano dal cielo l’architettura paesaggistica meravigliosa, ma indecifrabile.
Intenso, cupo, sorprendente. Ma soprattutto consigliato.
Carmine Cicinelli
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