Regia di Alberto Rodriguez vedi scheda film
Contrariamente a quanto succede in Italia il cinema di genere, nella vicina Spagna, funziona piuttosto bene ed è stato capace, negli ultimi anni, di trovare numerosi sbocchi nei mercati internazionali. Il thriller, con tutte le sue sfaccettature, è un genere che ha prodotto titoli molto significativi, i registi più interessanti e i volti più iconici del nuovo corso cinematografico iberico. I volti, in particolare, sono il marchio di fabbrica che ha permesso allo spettatore medio di associare il filone al paese d'origine in maniera univoca. E dall'identificazione tra gli attori ed il genere è scaturita la percezione della qualità del prodotto cinefilo che, per l'appunto, è legata alla bravura di chi ci mette la faccia.
Il pubblico, spagnolo e non solo, ha risposto positivamente alla presenza di attori dai lineamenti disegnati per impugnare una pistola, come Luis Tosar, Antonio de la Torre o Raul Arevalo reclamandone i tratti come elementi fondanti. Più lentamente, ma con crescente consapevolezza, ha apprezzato la mano di registi talentuosi, come Oriol Paulo, che hanno plasmato la materia secondo canoni propri, attirando molto spesso le attenzioni dei principali festival internazionali.
"La Isla Minima" del regista andaluso Alberto Rodriguez è uno dei titoli più significativi a cui fare riferimento e, a detta di chi scrive, i motivi vanno ricercati al di fuori del canovaccio che, per inciso, si può riassumere nell'indagine di polizia affidata a due detective della capitale chiamati a ritrovare il corpo di due sorelle scomparse lungo le sponde del Guadalquivir.
L'indagine condotta dai due sbirri ha, ovviamente, una valenza immediatamente perpecibile poiché la narrazione ha come principale obiettivo la risoluzione del caso a cui i due protagonisti, così simili e così diversi tra loro, dedicano energie e professionalità. Ma è lo strato meno superficiale a catturare l'attenzione offrendo allo spettatore una rappresentazione precisa del contesto storico/sociale/culturale in cui i fatti sono narrati.
Intendiamoci, la narrazione potrebbe funzionare in qualsiasi luogo e tempo ma Rodriguez raggiunge il massimo risultato grazie alla profonda conoscenza della terra d'origine che inserisce in un tempo preciso e peculiare. Rodriguez, infatti, opta per un periodo molto critico della storia spagnola, quello della transizione dalla decaduta dittatura franchista alla nascente democrazia, e, lì, inserisce fatti e personaggi. Ambientato nel 1980 (a cinque anni dalla morte del Caudillo) il film è uno spaccato della provincia andalusa che ha la forza di restituire ai posteri un paese alla ricerca di una propria identità.
A tal proposito appropriate risultano le caratterizzazioni dei due protagonisti. Pedro Suarez è socialista e sta per diventare padre. Rappresenta la voce nuova che si eleva in un paese per molti versi assai retrogrado. Juan, a contrario, è legato a doppio filo con il regime franchista di cui era strenuo difensore pur essendo essenzialmente una misera, ma ben indottrinata, pedina. Entrambi si sentono fuori posto in un tempo sospeso ove la dittatura potrebbe essere restaurata da un momento all'altro e la democrazia spazzata via con un solo gesto oppure condotta al trionfo dalle future scelte elettorali. Pedro che ha generato la vita è la Spagna nuova e fiduciosa nel futuro, quella che prenderà il potere nelle elezioni del 1982 mettendo fine alla transizione politica. Juan, a contrario, sta morendo. Il corpo del poliziotto che si guasta pian piano, secondo i ritmi della malattia, rappresenta, inevitabilmente, il marciume di un vecchio regime in disfacimento che, dopo anni di repressioni, appare in superfice mostrando la propria crudeltà.
L'Ancien Régime spagnolo è disfatto come i corpi in decomposizione delle vittime che tornati a galla mostrano i segni delle violenze e delle torture subite dal killer, le stesse lasciate dalla dittatura sulla società spagnola.
Il regista non manca di esprimere un giudizio sul regime (e sul suo comandante/killer) che ha permesso il verificarsi di una serie di efferati omicidi causati da una mentalità maschilista, reazionaria e omertosa che si nota, palese, nella pubblica corruzione e nella difesa di insospettabili uomini di potere. In questo luogo ancestrale e brutale ancorato ai valori del fascismo si intravedono i primi scioperi dei lavoratori mentre la domanda di lavoro, troppo elevata affinché i salari possano crescere, fa il paio con una stagione di raccolta troppo breve per permettere un cambiamento nelle vite degli uomini e delle donne del fiume. Mentre il lavoro non si trova le acque del Guadalquivir brulicano di danaro sporco (droga, prostituzione, contrabbando). Per chi non ha la forza ed il pelo sullo stomaco per dedicarsi alle attività illecite rimane la speranza di lasciare il paese e andare in città ove tramutare la condizione servile di moglie, madre e proprietà carnale dell'uomo in dignità, lavoro e autonomia. Nelle figure dei genitori delle vittime, ancorati al pregiudizio e alla tradizioni religiose e civili c'è tutta la società spagnola divisa tra Status Quo e desiderio di cambiamento.
Rodriguez, dunque, non mette in scena solamente un delitto e la sua soluzione con trepidanti inseguimenti, orripilanti ritrovamenti e la giusta dose di pathos. Sotto la pioggia sferzante che reclama pulizia e trasparenza, in un finale al cardiopalma, c'è un ottima analisi storica che reclama un tiepido ottimismo perché la democrazia è imperfetta e caotica, vero, ma, pur sempre, tramite di libertà e progresso.
Il regista dona vita ad un'epoca passata, la contestualizza e la rilegge per comprendere il cammino lento di una nazione desiderosa di voltare pagina e di recuperare la memoria storica che renda giustizia alle vittime e ridimensioni l'operato dei carnefici. L'indagine di Rodriguez, allora, amplia i suoi connotati di giustizia per farsi indagine storica e sociale. Non male per un giallo. (V.O.S.)
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