Regia di Gakuryu Ishii vedi scheda film
Dead End Run è un mediometraggio giapponese del 2003, scritto e diretto da Ishii Sogo.
Sinossi: In una città giapponese non meglio specificata, tre uomini sono in fuga.
Inizialmente l’attenzione è dedicata ad un giovane (Yusuke Iseya) intento a sfuggire dalle grinfie di un misterioso sicario e durante la sua corsa disperata finisce per causare la morte di un incidente. Nella seconda storia invece due malviventi dopo un fugace inseguimento, si sfidano a duello stile vecchio west. Infine il cerchio si chiude con uno scapestrato (Tadanobu Asano) scappare dalla polizia e barricarsi sul tetto di un edificio…
Dead End Run è un mediometraggio ad episodi (3) scritto e diretto da Gakuryo Ishii (meglio noto come Ishii Sogo), grande maestro del moderno cinema giapponese troppo spesso dimenticato quando in realtà dovrebbe essere il contrario, dato che il suo stile ribelle ed anticonvenzionale mostrato a partire dal suo esordio Panic In High School(1976) ha inaugurato una nuova tipologia di cinema fuori da ogni schema e poi portata alla ribalta internazionale dal suo amico Tsukamoto, con il tanto e giusto decantato Tetsuo.
Ishii Sogo bisogna dirlo, dispone di un Curriculum Vitae veramente ricco e particolare, il cui operato è strettamente legato alla musica e cultura punk; detto questo però a partire dalla metà degli anni Novanta, l’autore si allontana bruscamente dalla sua idea di cinema inteso come strumento di ribellione, per abbracciare altresì un filone contemplativo focalizzandosi sulla dimensione metafisica dell’uomo e dell’universo (Angust in the water).
Ishii Sogo comunque non si dimentica del suo recente passato e ritorna con forza nei anni Duemila, prima con Electric Dragon 80000 V e con questo Dead End Run, entrambi film che rientrano nel cosiddetto chase-movie,ovvero film ad “inseguimento”, genere consolidato dallo stesso regista e molto apprezzato tra l’altro da Sabu (altra mente geniale).
Conclusa questa brevissima introduzione sul regista, possiamo concentrarci sull’opera.
Il mediometraggio in esame gira introno ad una tematica comune, ovvero la fuga di tre soggetti; fuga inserita in un contesto urbano contemporaneo e allo stesso tempo estirpata da una qualsiasi logica narrativa rendendo l’opera altamente sperimentale, richiamando parte degli elementi cardine della poetica del suo autore, come vedremo a breve.
1) Il frangente iniziale è denominato Last Song e ci regala subito un incipit sensazionale, dalla chiara impronta neo-psichedelica la cui mano del regista è l’assoluta protagonista.
La prima inquadratura dell’opera è data dallo schermo nero -dura qualche secondo- accompagnato da un fuori campo sonoro propulsore dell’opera, poiché proprio fuori campo è in atto una sorta di rissa che causa la fuga del protagonista. Schema atipico riproposto in tutti e tre gli episodi.
Subito dopo lo schermo nero, lo spettatore viene travolto da un approccio punk-underground estremamente selvaggio; il regista ci mostra appunto la fuga di un uomo, attraverso immagini volutamente caotiche e sfuocate, montaggio serrato, dissolvenze incrociate, fast-motion, particolari dei piedi ed uso abbandonante della snorry-camche permette di agganciare la macchina da presa direttamente al corpo dell’attore, in modo che il suo volto appaia fermo mentre tutto ciò che ha intorno si muove caoticamente, aumentando la sensazione di spaesamento del soggetto.
Ad un certo punto il ragazzo completamente confuso, si ritrova perso in piena notte in un quartiere periferico cupo e degradato. La tensione si taglia con il grissino e l’atmosfera è soffocante, enfatizzata da una nebbia fittissima che confluisce e si unisce alle polveri dell’asfalto, inoltre non dimentichiamoci dell’inseguitore che incombe minaccioso nell’ombra. Un clima di morte persiste nell’aria e non tarda a concretizzarsi.
Continuando l’analisi, Ishii Sogo improvvisamente spiazza tutti e vira sul musical con un cadavere che prende vita ed inizia a cantare e ballare, lasciando attonito il nostro protagonista.
Anche la regia cambia drasticamente diventando elegante ed enfatica, distinta da lenti movimenti di camera e musica soave.
L’episodio termina con un epilogo poetico-nichilista, caratterizzato da un’ultima inquadratura a piombo accompagnata da un movimento selettivo a stringere sulle mani dei due soggetti in scena.
Interessante notare come il regista nonostante rinunci quasi del tutto ad una sceneggiatura, riesca ugualmente a toccare, se pur rapidamente, argomenti scottanti riguardanti il proprio paese. In Last Song emerge il tema della solitudine; la ragazza che innesca un surreale balletto è felice di essere morta poiché in vita soffriva tremendamente una particolare condizione di isolamento emotivo, mascherato dalla sua futile routine.
Parallelamente impossibile non soffermarci sul motivo della corsa/fuga che vede coinvolti tutti i protagonisti dei tre episodi; il regista probabilmente vuole rievocare l’oppressione sociale del giapponese medio, costretto a sopportare soprusi di ogni tipo e dunque questa corsa è un tentativo disperato di allontanarsi da tutto ciò.
2) Il secondo segmento è Shadows. L’inizio da un punto di vista concettuale e registico è pressoché identico a Last Song ed infatti il nuovo protagonista si ritrova nello stesso identico quartiere del primo soggetto, però di punto in bianco il corto evolve sensibilmente ed Ishii Sogo opta per un lunghissimo mexican standoff (quasi 10 minuti) fra inseguitore ed inseguito il tutto inserito in un quadro folle-onirico, marchiato da un doppio ed assurdo doppelganger.
Evoluzione presente pure nell’apparato musicale che abbraccia le sonorità tipiche del jazz, infine nuovamente articolata l’inquadratura conclusiva: dapprima troviamo un progressivo movimento estensivo atto ad allontanarsi dai soggetti portando l’asse della camera completamente perpendicolare al suolo, per poi intraprendere un contro-movimento in avanti stringendo sull’inseguitore ora esanime.
3) Il mediometraggio termina con Fly e tralasciando un incipit analogo ai due episodi precedenti, l’autore mischiale carte in gioco cominciando dall’ambientazione del tutto opposta dove una notte cupa e nebbiosa viene sostituita da una giornata solare, in aggiunta l’azione non si svolge più nel mezzo di un quartiere bensì sul tetto di un edificio.
Ricollegandoci alla sfera tematica introdotta con Last Song, Ishi Sogo accenna ad un altro problema reale del suo paese inerente al suicidio giovanile; nel corso del corto veniamo a conoscenza di una ragazza in procinto di suicidarsi, completamente alienata e solamente l’incontro con uno sbandato (un grandissimo Tadanobu Asano) che le punta una pistola alla tempia le ridà la voglia di vivere e di conoscere meglio questo strano individuo.
Nota di merito per il finale visionario e metafisico laddove sono evidenti i richiami alla filosofia New Age, esplorata dal regista in opere precedenti.
Mediometraggio folle e visivamente sensazionale, distinto da una regia punk incredibilmente selvaggia in pieno stile Ishii Sogo
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