Regia di Fariborz Kamkari vedi scheda film
Film sull’interrelazione religiosa, sulla figura della donna nella concezione islamica, sugli italiani convertiti all’islamismo radicale. Un dramma? Una palla noiosa in cui ci si smascella dagli sbadigli? Macchè, tutt’altro. Considerato il taglio concepito dal regista curdo nato in Iran Fariborz Kamkari, questa doveva essere una commedia. Ma considerato che il film (90 minuti scarsi di montato) è un mattone indigesto e le risate si contano sulle dita di una mano monca, è lecito dire che qualcosa non ha funzionato.
Eppure le premesse c’erano tutte: un buon cast (Beppe Battiston e Hassan Shapi molto bravi), un soggetto interessante (inesperto imam viene richiamato a Venezia dove la comunità islamica non ha più una moschea per le bizze di una seducente parrucchiera musulmana), una fotografia di livello, una location (Venezia) inquadrata in maniera mai banale, un sottofondo musicale affidato all’Orchestra di Piazza Vittorio. A ben guardare mancano all’appello due elementi fondamentali: regia e sceneggiatura. Entrambe curate dall’autore curdo, che dimostra (considerato il precedente I fiori di kirkuk) di trovarsi meglio alle prese col registro drammatico che con quello comico. La leggerezza del taglio narrativo, o almeno il suo modus scanzonato di riferire su argomenti scottanti, viene fagocitato da un ritmo di regia, montaggio e recitazione che fa davvero impallidire. Ogni scena dura almeno il doppio del consentito e soltanto i momenti di accompagnamento musicale consentono di rendere alcuni tratti più scorrevoli e sopportabili. Per lunghe sequenze, il film dimostra di avere la fluidità di un orologio arrugginito.
Interessante, assieme a fotografia e musiche, è la volontà di esulare da una Venezia da cartolina, mostrandone con pervicacia (le impalcature e l’immondizia si vedono ad ogni piano largo) le bruttezze, elementi inevitabili in una città che invece, stando allo sguardo dei blockbuster d’oltreoceano che l’hanno spesso usata come sfondo, pare un immacolato paradiso terrestre.
Infine la trattazione delle vicende: gli autori non vogliono sembrare di parte, e nel tentativo di rimanere imparziali, caricano gli islamismi e le abitudini italiane di una serie di stereotipi che, invece di essere logicamente abbattuti, finiscono per rappresentare la colonna portante del film, che inciampa proprio nei luoghi comuni che voleva distruggere.
Una occasione perduta, dunque. Sfruttata male una bella idea. Gettata alle ortiche qualche buona intuizione. Vanificato un cast validissimo. Piccola, grande delusione.
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