Regia di Thomas Cailley vedi scheda film
L’umanità, oggi, somiglia ad una foresta al massimo del suo rigoglio, talmente fitta da non lasciare trapelare al suo interno nemmeno un flebile raggio di sole, e, non potendosi ulteriormente espandersi perché satura, andrà spontaneamente incontro ad una graduale autodistruzione, così da rimpicciolirsi e creare nuovo spazio. E ricominciare a crescere, evolversi e raggiungere il massimo del suo splendore. Secondo l’ordine naturale di tutte le cose.
E quando l’umanità si troverà nel pieno della sua fase autodistruttiva-rigenerativa sarà meglio per il singolo, saggio e avveduto, farsi trovare preparato, in modo da disporre di maggiori possibilità per la sopravvivenza.
Ma è poco probabile trovarsi di fronte uno scenario apocalittico del tipo di quelli visti al cinema, con lande desolate a perdita d’occhio o metropoli fantasma invase da cumuli di detriti, con la natura che avanza riprendendosi la sua vittoria sul cemento. E pericoli ovunque in agguato.
È poco probabile (ma non impossibile) che si ritorni allo stato selvatico, dove la forza e l’abilità fisiche così come la capacità di adattamento e l’arte del procacciarsi da soli il cibo risultino fondamentali per assicurarsi salva la pelle.
Eppure, è meglio seguire un corso di sopravvivenza indetto dall’esercito, non si può mai sapere, visti i tempi in cui viviamo, dove nulla è certo e tutto è scivolosamente precario, perfino un tetto sulla testa e un letto dove dormire.
Perciò, è meglio farsi furbi e abituarsi al pavimento duro, al terreno umido, agli ambienti inospitali, al frugale pasto e a tutto ciò che in natura è commestibile.
Anche se in verità questo addestramento ad una vita al limite, che in teoria dovrebbe sfornare piccoli Rambo in batteria, si rivela, a conti fatti, una sorta di gita scolastica in un parco giochi a tema, a metà tra il dilettantismo scout e l’oratorio, dove si consumano lauti pasti alla mensa, si beve caffè caldo zuccherato e si fumano sigarette nelle abbondanti pause tra uno scontro a fuoco simulato, finte granate da ‘soffocare’ con il corpo e percorsi ad ostacoli e muri impossibili da scavalcare (che per un attimo ci ricordano affettuosamente l'allieva ufficiale Seeger in Ufficiale e gentiluomo).
Perché la vera sfida alla sopravvivenza, oggi, non si consuma nella giungla e non richiede tanto l’efficienza del corpo quanto quella dei nervi.
Che si mantengano ben saldi, a prova di bomba, per sostenere l’inerzia delle nostre vite, appena sbocciate e già appassite, svuotate di senso, spaesate, mosse dalla corrente più che dalle intenzioni (frustrate). Esistenze fluttuanti dove le stagioni non ne scandiscono e non ne regolano più i battiti del cuore, dove un giorno è uguale all’altro e si confonde con la notte, dove sul nostro calendario è riportato costantemente il sabato quando vorremmo che comparisse almeno, ogni tanto, un lunedì.
Per riuscire a resistere al logorìo del tempo che pare rallentato, stando lì, immobili e sviliti, in un angolo nascosto del mondo ad aspettare un improbabile Godot, e sperare di disporre della forza necessaria per sgomberare la mente dai cattivi pensieri che l’affollano. Magari, nell’attesa, concentrarsi su ciò che più ci aggrada, che renda accettabile questo lento, inesorabile, perenne stillicidio.
Arnaud e Madeleine s’incontrano e si scontrano in un assolata giornata d’estate, in quell’età in cui sulle loro giovani teste pende la grave, oscura impalpabile incognita del futuro.
Che strada prendere, come affrontare la vita?
A muso duro, avendo preso ogni possibile precauzione per ogni eventualità del caso, secondo le rudi modalità adottate da lei, la quale decide di mettere da parte la sua naturale femminilità perché da intralcio, essendo poco consona agli attuali tempi duri che si faranno di lì a poco catastrofici.
O con fare pacato, più riflessivo e meno irruento, assecondando il momento, secondo il carattere mite, dolce e gentile di lui?
E quale vita ci sarà veramente ad attenderli?
L’addestramento (para)militare a cui, quell’estate, entrambi prendono parte è solo il punto di partenza di un percorso a due di crescita interiore e consapevolizzazione di sé, che vedrà il suo pieno compimento fuori da quella sorta di circolo ricreativo per temerari con velleità da avventurieri, e dentro, per davvero, la natura selvaggia.
E se il primo tentativo di sopravvivenza fallisce (relativamente), ce ne saranno altri a venire (con altre innumerevoli combinazioni) più soddisfacenti, provvisti di margini di errore sempre più ristretti.
Ma con tutta l’esperienza accumulata, riusciremmo mai a neutralizzare le infinite variabili indipendenti disseminate lungo il nostro, seppur breve, passaggio, sulla terra?
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