Regia di Kornél Mundruczó vedi scheda film
Molto incuriosito dall'ottima prova di Pieces of a Woman, tra i miei preferiti tra i film visti alla appena conclusa 77ma Mostra del Cinema di Venezia, mi sono andato a recuperare su Raiplay una delle opere ungheresi di Kornél Mundruczó, regista magiaro appena sbarcato a Hollywood sotto le ali protettive nientemeno che di Martin Scorsese. E devo dire che non sono rimasto affatto deluso da quest'opera di notevole originalità e di fattura ambiziosa.
Lili, una ragazzina di Budapest figlia di genitori divorziati, deve passare un periodo col padre mentre la madre sarà impegnata all'estero. Il papà non è affatto contento di dover accogliere in casa pure Hagen, il'inseparabile cane della bambina, anche perché una nuova legge impone il pagamento di una tassa sui cani meticci, apostrofatati senza tante cerimonie come “bastardi”. Il docile animale sembra suscitare immotivate reazioni ostili della maggior parte degli adulti, compreso l'insegnante di musica di Lili, che caccia entrambi in malo modo dall'aula, finché l'insensibile padre non decide di abbandonare l'animale lungo la strada. Di lì in avanti il film segue le vicende parallele della ragazza, alle prese con un rapporto contrastato col genitore, e di Hagen, costretto ad una vita di strada irta di pericoli, a cominciare dagli accalappiacani, fino a capitare nelle mani spregiudicate di uno scommettitore dei combattimenti tra cani, che lo addestra per farne una spietata bestia d'attacco su cui lucrare. Questa metamorfosi in killer spietato sarà la scintilla di una rivolta, in cui Hagen si metterà alla testa di un vero e proprio esercito di randagi e meticci che si ribella finalmente alle angherie e decide di vendicarsi degli umani che li hanno maltrattati, seminando il terrore in tutta Budapest.
E così Mundruczó fa dei cani una metafora evidente degli emarginati e degli esclusi dalla società magari perché considerati “impuri”, con un avvertimento neanche troppo velato ai rischi che un'esasperazione degli ultimi può portare, perché gli esclusi e gli sfruttati, a forza di essere additati come pericolosi e di essere accusati a torto di mordere, poi finiscono per mordere davvero, quando si stufano di subire.
White God è un film che riesce a stupire perché nella prima parte procede in modo abbastanza convenzionale, ricordando per certi versi quelle pellicole anche hollywoodiane dedicate al pubblico familiare o infantile, che hanno per protagonisti i nostri amici animali domestici. Però nella seconda parte, con l'invasione di Budapest da parte dell'esercito canino che scatena il panico, bloccando il traffico e richiedendo la mobilitazione addirittura delle forze armate, prende piede una visionarietà certamente inedita e spiazzante, che, deviando bruscamente dallo stile “per famiglie”, non lesina immagini brutali nel rappresentare la vendetta dei canidi.
Le riprese del branco in libera uscita, che avranno richiesto una meticolosa organizzazione e addestramento dei protagonisti, sono realizzate molto bene, così come risultano espressivi i “primi piani” dei musi, soprattutto quelli del protagonista Hagen, interpretato da due “attori” quadrupedi, che rendono credibili sia le espressioni mansuete da cucciolone che quelle feroci da bestia da combattimento (immagino sia stato utilizzato un animale per le scene “da buono” e un altro per quelle “da cattivo”). Le sequenze più immaginifiche sono quelle della muta che segue la bicicletta di Lili tra le strade deserte della città terrorizzata e l'emozionante finale, in cui la musica si rivela strumento di comunicazione ed empatia che si sostituisce alla furia vendicativa per creare una nuova speranza di comprensione e convivenza.
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