Regia di Christian Petzold vedi scheda film
Di Christian Petzold, è questo Phoenix, che nel furbesco titolo italiano diventa Il segreto del suo volto, traduzione impropria e fuorviante poiché ne autorizza una lettura eccessivamente patetica, Il film, sebbene abbia alcune caratteristiche del mélo, è, anche nelle intenzioni del regista, assai più complesso e ambizioso.
Siamo in Germania, alla fine della seconda guerra mondiale. I segni della sconfitta sono dappertutto: Berlino, occupata dai militari di quattro diversi Paesi, è un cumulo di di macerie e di sporcizia, oltre che di vergogna e di dolore.
Si vive nella speranza di voltare pagina al più presto, di guardare avanti, di rimuovere rapidamente rovine e passato, per rinascere, come la Fenice mitologica, dalle proprie ceneri, lasciandosi alle spalle il disonore dei compromessi col nazismo che avevano coinvolto moltissimi comuni cittadini.
Non è facile, però, perché col passato i conti non sono affatto chiusi: i pochi superstiti dei lager, sfigurati per le sofferenze inaudite, di cui portano indelebili segni, sono tornati e, cercando di ritrovare quel che resta (se resta) del tempo andato per ricostruire l’identità perduta nell’umiliazione dei campi di sterminio, vorrebbero ricordare gli anni più sereni, quando le case non erano distrutte, quando gli amici, o addirittura le persone amate, non avevano ancora tradito. Nella contraddizione insanabile fra chi cerca di dimenticare in fretta, mettendosi in pace la coscienza, e chi invece cerca di ricordare per ritrovare se stesso, scava il regista, presentandoci la storia di un uomo, Johnny (Ronald Zehrfeld, bravissimo), e di una donna, Nelly (una splendida Nina Hoss) – un tempo innamorati marito e moglie – entrambi musicisti che si esibivano in un locale notturno, il Phoenix, ora miracolosamente riaperto.
Lì i due si incontrano di nuovo, ma il volto ancora livido e tumefatto di lei e la magrezza del suo corpo forse non permettono a lui di riconoscerla. La figura di Johnny e anche le incertezze di lei emergono in tutta la loro ambiguità: lui aveva consegnato Nelly, ebrea, alla Gestapo; ora la crede morta e vorrebbe mettere le mani sulle sue cospicue ricchezze, mettendo la "nuova" arrivata al corrente dei suoi piani; lei finge di assecondarlo in attesa di rivelargli la verità e di ritrovarne l’amore: entrambi in qualche misura vittime di una feroce guerra che li ha resi irriconoscibili.
La situazione è perturbante potrebbe far affiorare alla coscienza di Jonny quel rimorso che vorrebbe rimuovere ed evitare, ma che non lo abbandona…
La vicenda procede con una narrazione che, accompagnando le ambiguità della trama, oscilla fra il patetismo-sentimentale e il noir (con richiami abbastanza evidenti a La donna che visse due volte), si avvia alla conclusione molto “giusta”, a mio giudizio, fra le cose migliori del film.
Il regista si è ispirato a un romanzo francese di Hubert Montheilet, opportunamente spostando in Germania il tema del ritorno dai campi di concentramento, così da affrontare un argomento poco trattato dal cinema tedesco, e ha inoltre rappresentato, attraverso i due emblematici protagonisti, la coscienza scissa dei tedeschi dopo la guerra.
L’opera si fa seguire senza noia, grazie soprattutto alla credibilità umana che i due bravissimi interpreti conferiscono ai loro rispettivi personaggi.
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