Regia di Christian Petzold vedi scheda film
Dopo lo scialbo e reticente minimalismo del deludente “La scelta di Barbara”, Petzold fa centro con un’opera ardita, che sa gestire in modo intelligente la problematica della “sospensione dell’incredulità” insita nel soggetto: la vicenda di una donna sfigurata dall’esperienza dei lager nazisti, che si ripresenta al marito col volto malamente ricostruito e non viene riconosciuta. Una trama improbabile che prestava il fianco a una deriva surreale e grottesca, prontamente evitata. Molto più percorribile sarebbe stata la strada metaforica, effettivamente intrapresa da Petzold, ma il merito del regista tedesco è proprio quello di evitare che tale metafora schiacci il film, che mortifichi il pathos sotterraneo della vicenda, che pieghi alla propria funzione i sentimenti dei personaggi.
Di fatto, “Il segreto del suo volto” è un melodramma. Verrebbe da fare il nome di R.W. Fassbinder, vista la nazione di provenienza, ma la componente della modifica anatomica richiama forse maggiormente Almodovar (anche se qui inevitabilmente raggelato e privato di ogni componente edonista e “latina”). Certo, si tratta di una storia di passione unilaterale, una morbosa ossessione sirkiana (eccolo il melò…), che però si intreccia fatalmente con una vicenda ben più drammatica e universale: l’Olocausto. Chiaramente, la tragedia ebraica non rimane un mero pretesto per ambientare storicamente la vicenda, bensì attraverso il personaggio di Lene Winter diventa come un virus che si estende sottopelle e che condiziona la scelta decisiva della protagonista.
Nelly Lenz, sopravvissuta sfigurata ai lager, non dà importanza alla propria identità ebraica, che le è quasi costata la vita, non crede al fatto di essere stata tradita dal marito (che l’ha denunciata ai nazisti), non vuole una nuova vita (né in Palestina né altrove) e un nuovo volto: vuole solo ricostruire il presunto idillio con l’amato Johnny, che in realtà la stava già lasciando prima della delazione. Vuole ricominciare da capo, riprovare le sensazioni dell’innamoramento. Sarò il suicidio dell’amica Lene, ebrea che invece non perdona e non dimentica quanto accaduto nella Germania nazista, a svegliare la coscienza di Nelly, che deciderà di rivoltare a suo vantaggio la farsa che il marito voleva costruire per puro interesse economico.
In questo film un po’ altalenante nel ritmo, non sempre brillante, a volte impacciato nelle allusioni e nei sottintesi, certo avvincente nello sviluppo paradossale delle psicologie dei personaggi, sorretto inoltre da un eccellente terzetto di attori (straordinaria la Hoss in una parte difficilissima), c’è uno dei finali più emozionanti del cinema europeo recente: un numero musicale, una canzone (la languida e fatalista “Speak Low” di Kurt Weill), una rappresentazione scenica che però si mostra in grado di svelare la verità e di comunicare un sentimento al partner (e allo spettatore) meglio ancora di tanti discorsi.
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