Regia di Abderrahmane Sissako vedi scheda film
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FESTIVAL DI CANNES 2014 - CONCORSO
TIMBUKTU è il film di Abderrahmane Sissako, di produzione francese, presentato in Concorso all’ultimo Festival di Cannes e salutato da le Figaro come “Notre palme du coeur”.
Antica città del Mali, dell'Africa sahariana dunque, era considerata la capitale della tolleranza e della saggezza, almeno fino a quando un’orda di integralisti ha iniziato a dettare norme comportamentali lesive di ogni più umana libertà di manifestazione delle proprie attitudini ed interessi: divieto per le donne di scoprire parti del corpo (neppure le mani possono apparire, ma vanno coperte da guanti neri, e seguiamo a questo proposoto le proteste motivatissime di una tenace pescivendola che chiede ai suoi accusatori come possa manipolare il pesce con gli arti superiori bloccati da una stoffa che ne azzera tatto ed operatività manuale), divieto di cantare o ascoltare musica, divieto di giocare al pallone, e tutta una serie di altri castranti vincoli, epicentro di una dottrina deviata ed integralista che incancrenisce ogni più inevitabile diritto alla vita e alla libertà di pensiero, manifestazione e movimento.
In questo contesto il pastore Kidane si gode la libertà di appartenere al deserto e non alla comunità cittadina, e conduce una vita serena tra le dune, con moglie, figlioletta ed un ragazzino adottato che gli accudisce le otto mucche, sua unica ricchezza e ragione di sostentamento. Ma quando un giorno un pescatore un po’ folle, contrariato che le bestie del pastore vadano ad abbeverarsi non lontano dalle sue reti allontanando i pesci, uccide con una lancia la mucca Gps, quella a cui la famiglia di Kidane era più affezionata tra le otto, l’uomo interviene per far valere i propri diritti. La colluttazione inevitabile ha un esito tragico perché il pastore finisce per uccidere incidentalmente il pescatore folle, condannandosi verso un destino segnato ed inevitabile.
Il cinema africano sa essere magnifico per la linearità e la semplicità del suo racconto, che non richiede preamboli, sotto-storie, incisi e avvicendamenti complessi, ma al contrario si dipana e risolve nella sua limpida essenzialità, che riflette peraltro i ritmi di vita, la concezione del tempo e dello spazio.
Timbuktù segna il ritorno del gran regista mauritano che colpisce al cuore con la limpidezza del suo sguardo, che si riflette e si esprime sul volto innocente dei bambini che tutto vedono e non si capacitano della follia e delle regole assurde che l’uomo si infligge sadicamente, quando il corso della vita e degli eventi potrebbe avere e meriterebbe di avere un suo percorso lineare e naturale.
Immagini splendide con cui il gran regista riesce a sintetizzare il compiersi del dramma raggiungono il capolavoro nell’inquadratura potente della colluttazione vista da lontano, in cui due uomini da lontano, in mezzo ad un lago, si affrontano e uno rimane a terra. Potenza del cinema e sensibilità di sguardo che rendono grande questa arte.
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