Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
Rivisto di recente, riporto qui la mia recensione, un po’ in contro-tendenza, scritta dopo la visione in sala, all’uscita italiana di questo film (11 Maggio 2015).
La vicenda narrata da questo straordinario film si svolge sullo sfondo meraviglioso delle Alpi francesi (Valle del Rodano). Qui arrivano, dall’Europa del Nord, gruppi di turisti per trascorrere una distensiva vacanza sulla neve, accolti da un’organizzazione perfettamente predisposta in ogni particolare al fine di rendere tranquilla e indimenticabile la loro settimana bianca. Il “resort” è lussuoso e confortevole (anche se un po’ sinistro e claustrofobico); il villaggio sorge su un altipiano sospeso, come una piattaforma spaziale, fra le le altezze vertiginose circostanti; gli impianti sportivi per la risalita e per il rientro sono studiati per attraversare abissali vuoti nella massima sicurezza dei passeggeri; un’imponente attrezzatura tecnologica mantiene la neve perfetta sui campi da sci, mentre di notte e di giorno colpi di cannone ben mirati provocano il distacco controllato dei cumuli di neve, disgregandoli perché non diventino valanghe.
Una vacanza nella “natura”, dunque? Non proprio, anche se parrebbe, essendo la natura, in quel luogo, imbrigliata e regolata dai marchingegni creati dalle umane conoscenze scientifiche e tecnologiche necessarie per contenerne la spaventosa forza distruttiva. In questo modo, il villaggio sull’abisso diventa anche la metafora della nostra “natura” profonda di esseri umani, frenata e imbrigliata dal millenario processo di incivilimento.
E’ ben vero, però, che non tutto ciò che può accadere è prevedibile ed è anche vero che talvolta la nostra stessa percezione di ciò che accade è distorta da paure profonde e irrazionali, che mettono in luce ciò che di noi avevamo tenuto ben nascosto. In questo scenario non semplice, come si vede, vengono fatti muovere i protagonisti del dramma, serio solo in parte, che è rappresentato nel film: una cannonata in pieno giorno provoca la valanga “sotto controllo” che sembra scendere senza ostacoli dalla montagna prospiciente la bella terrazza del resort sulla quale i turisti stanno pranzando e godendosi la straordinaria bellezza che li circonda, fotografando e filmando il grandioso evento.
Nulla di grave dovrebbe accadere, e infatti nulla accadrà, ma il progressivo avvicinarsi di quel “mostro”, l’ingrossarsi della sua massa nevosa che discende velocemente e il suo disintegrarsi in mille goccioline che impediscono di vedere (un meraviglioso piano sequenza!), provocano reazioni di paura e di angoscia insospettabili nei componenti di una famiglia svedese, apparentemente tranquilla, ospite di quel luogo.
Dapprima sono i bambini a urlare, poi la madre, che cerca di fare loro scudo col proprio corpo, mentre il papà, Tomas (Johannes Kuhnke), invocato a gran voce, si allontana e sembra quasi fuggire dal pericolo (immaginario) e dalle proprie responsabilità. La donna, Ebba (Lisa Loven Kongsli), dunque, si è lasciata trascinare irrazionalmente dal panico e ora reagirà nel peggiore dei modi, e, ciò che è più grave, innescherà una catena di rovinosi contraccolpi, che si trascineranno per tutti i giorni della vacanza, diventata sempre più simile a un incubo claustrofobico.
La “montagna incantata” rivelerà, davvero, alla fine del film il suo volto terribile e nascosto, in un episodio non secondario, allorché, durante l’ultima traversata sugli sci, la stessa famigliuola si troverà sul serio in grande pericolo, nonostante le precauzioni adottate. Sarà la ritrovata solidarietà familiare e coniugale a risolvere un problema che avrebbe potuto diventare drammatico.
Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Non dire; piuttosto Molto rumor per nulla, per rimanere dalle parti di Shakespeare.
A minare, ancora una volta, infatti, sul pullman del ritorno, la pace e la tranquillità dei turisti è …la paura, questa volta una paura indotta (ancora Ebba), contagiosa e grottesca che rimanda a molti film di Buñuel (L’angelo sterminatoresopra ogni altro).
L’ultima scena del gruppo di turisti che scendono precipitosamente dal pullman e si dirigono lentamente lungo la strada tortuosa verso l’aeroporto, al freddo, mentre presto scenderà la notte, mi è sembrata anche l’ironica riproposizione delle scene ricorrenti più famose del Fascino discreto della borghesia (gli strampalati protagonisti del film che si mettono in marcia).
I borghesi buñueliani, che hanno paura di tutto e si costruiscono continuamente inesistenti nemici, rassomigliano sinistramente, infatti, alla ricca borghesia di questo film, che continuamente e ovunque vede pericoli, per affrontare i quali si chiude volontariamente nella corazza protettiva della tecnologia avanzata, bunker-prigione sorvegliatissimo, ignorando, però, di vivere sull’orlo dell’abisso.
Magnifico film (premiato dalla giuria al Festival di Cannes 2014, nella sezione Un certain regard), originale e ricchissimo di significativi episodi da meditare.
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