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Forza maggiore

Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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La recensione su Forza maggiore

di ezzo24
7 stelle

Intelligente, inquietante ed originalissimo film neo-bergmaniano dal sapore vagamente fantapsicologico. Voto 7.

Intelligente, inquietante ed originalissimo film neo-bergmaniano dal sapore vagamente fantapsicologico.

Una tranquilla famigliola svedese decide di meritarsi una settimana bianca di vacanza in un modernissimo albergo, e di divertirsi a sciare tra le bellissime montagne, stracolme di neve al punto che si rende necessario, a volte, provocare delle piccole valanghe "controllate" attraverso l'esplosione di cariche udibili durante la notte. Ma sull'affresco di questa relativa serena normalità della coppia, improvvisamente appare una crepa... che si dilaterà durante tutta la narrazione come un buco nero, pronto ad inghiottire chiunque si avvicini o tenti di chiuderla.

La scansione temporale volutamente premonitoria (i sette giorni vengono titolati in un countdown alla maniera di "The ring"), fa presagire una catastrofe imminente e risolutoria, che finalmente ponga fine allo strazio emotivo dei protagonisti (soprattutto i due piccoli bambini che fanno da "coro" implorante della tragedia); invece la storia continua a barcollare sul filo di lana dell'abisso, sull'orlo del precipizio senza mai caderci dentro, sempre stretta all'interno di una narrazione, che ne rappresenta una scollatura, un differenziale continuamente incolmabile (l'impossibilità di stabilire il grado di realtà degli avvenimenti, la sparizione della moglie, la disperazione inarrestabile del marito, la discesa sugli sci in mezzo ad una nebbia totale, la scena finale dell'autobus).

Non c'è soluzione (qui sta l'intelligenza del racconto), ma piuttosto una drastica ed ineluttabile discesa verso l'impotenza nel caos dei sentimenti inespressi, ed inesprimibili (vedi i bambini), triste consapevolezza del fatto che i civilissimi paesi nordici ancora si dibattono nel gorgo delle interminabili discussioni sentimentalistiche e colpevolizzanti, tanto care agli oscuri (ed a volte tetri), lavori bergmaniani, pur di non affrontare ed accettare i sentimenti "di pancia" che tanto essi stessi disprezzano dei popoli più latini (popoli "d'amore" e non "di libertà" come ebbe a scrivere De Crescenzo qualche anno addietro).

Personalmente avrei dato ancora più spazio al registro onirico, che si intravvede qua e là (il drone in soggettiva, la festa con gli uomini seminudi, la valanga che avanza in silenzio), ma ho apprezzato le tinte falsamente calde che ammantano il film di un'aura insieme algida e angosciosa (gli interni del fantascientifico albergo di legno mi hanno ricordato i corridoi del condominio in "La solitudine dei numeri primi"), ed il commento musicale che sembra quasi un sipario mentre si passa da un atto all'altro. (Fin troppo banale l'accostamento del bagliore accecante del bianco nevoso all'indistinguibile solitudine percettiva di un deserto).

Soltanto nelle ultimissime parole del marito si potrebbe immaginare un improvviso cambio di direzione e di consapevolezza, per essere finalmente pronto (per dirla alla Lars von Trier), ad "accettare il bene con il male".

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