Regia di Ruben Östlund vedi scheda film
Forza maggiore è un'opera interessante per la forte impronta stilistica e concettuale del suo autore che, pur non rispondendo sempre alle domande che pone, dimostra un occhio accorto per le difficoltà relazionali dell'uomo moderno.
Scelta sopraffina quella del regista Ruben Östlund di aprire il film con lo scatto di una foto di famiglia: in una singola inquadratura ne vengono esplicate le dinamiche relazionali impersonali, schematiche, costruite ad hoc, le quali si riflettono nella regia fredda e asettica dell'autore svedese.
È uno squarcio limitato quello che Östlund vuole rendere visibile al pubblico, soprattutto non svedese, il quale non può immaginare la realtà quotidiana della tipica famiglia nordica, catapultata sulle alpi francesi e costretta ad affrontare una realtà mutevole, al di fuori della propria area di sicurezza, dove il pericolo rende inevitabile una presa di coscienza di sé. Persa la posa, l'imperfezione è la verità da accettare, magari concedendosi una sigaretta in una liberatoria ammissione di colpa.
Eppure, non tutto si risolve per forza. In linea con la sua presa di distanza dagli avvenimenti, Östlund approssima la tragica crisi familiare nella ridicolaggine del pianto paterno, realizzando un grottesco effetto comico. Si rovesciano invece le parti nel finale apparentemente riconciliatore, perché il salvataggio della donna in pericolo è palesemente una messa in scena, un tentativo di restaurare il modello: così la famiglia può tornare alla sicura bidimensionalità, patinata, costruita e non problematica.
Forza maggiore è un'opera interessante per la forte impronta stilistica e concettuale del suo autore che, pur non rispondendo sempre alle domande che pone, dimostra un occhio accorto per le difficoltà relazionali dell'uomo moderno, orfano anche della forza di affermarsi come uomo e padre.
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