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Forza maggiore

Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Forza maggiore

di ed wood
7 stelle

Si è fatto un gran parlare di Haneke per questo film del giovane Ostlund, ma a ben vedere l'eredità della propria cine-storia nazionale resta forse la nota dominante. L'esistenzialismo tormentato di Bergman rivoltato nell'ironia stralunata e sottilmente feroce di Roy Andersson costituiscono l'asse portante di un'opera disomogenea, spesso incerta, ma non priva di spunti interessanti. Il tema del film non è tanto la crisi coniugale (c'è affetto fra i due protagonisti e nessuna tentazione di tradimento) quanto questioni morali che pongono una sorta di barriera fra uomo e donna: come in Antonioni, che resta una referenza ineludibile in questi casi, è la donna a recepire con più sensibilità i sintomi di una crisi, a fronte dell'uomo che invece tende sempre a negare l'evidenza e a mettere la polvere sotto il tappeto. Nel dibattere di questioni relative all'istinto di sopravvivenza contrapposto a quello di sacrificio per i propri cari, il film mostra però il suoi limiti, diventando vacuo e lezioso, oltre che inutilmente strascicato nei tempi (due ore di running time sono troppe per un canovaccio del genere). Inoltre, la compenetrazione fra realismo psicologico e metafora, fra dramma e sarcasmo, fra empatia e distacco non è del tutto risolto: ma sono cose che, registicamente, si perfezionano col tempo. Infine, non giova alla riuscita complessiva lo scadente livello del comparto attoriale.

 
Tante cose però si fanno apprezzare: le inquadrature "monche" alla Lanthimos e il finale sommessamente bunueliano; i campi lunghi su distese innevate in cui i personaggi si alienano; l'asettico ambiente alberghiero; lo slittamento della crisi dalla coppia protagonista a quella dei due amici hipster; certe figure umoristiche (il facchino che compare sempre nei momenti di lite di coppia); tutti gli sfoghi del marito, dalle grottesche urla liberatorie al tragicomico pianto a dirotto (con un abbraccio a quattro che abolisce ogni distinzione fra serio e ridicolo); il salvataggio conclusivo, miserabile riscatto del capofamiglia, mesta parodia dei finali hollywoodiani. Come detto, il rigore, la lucidità e la forza espressiva di un Haneke sono lontani, ma forse non costituiscono nemmeno il modello prediletto per Ostlund; ad ogni modo, sarebbe auspicabile che nelle prossime prove asciughi il testo, indirizzi meglio la sua poetica ed applichi una fusione più felice fra le istanze satiriche e quelle drammatiche.
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