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Forza maggiore

Regia di Ruben Östlund vedi scheda film

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La recensione su Forza maggiore

di mm40
6 stelle

Settimana bianca per una famigliola svedese: madre, padre e due bambini. Durante un pranzo all'aperto, una valanga rischia di travolgere i quattro; fortunatamente tutto si risolve in un'ondata di polvere bianca e nulla più. Raccontando agli amici l'esperienza, la madre puntualizza la pavidità e l'egocentrismo del padre, immediatamente fuggito alla vista dell'imminente - presunta - catastrofe, mentre lei è rimasta accanto ai figli. Lui ovviamente non ci sta e scatta lo psicodramma.

 

La morte è come il sole, non si può fissare troppo a lungo. La celeberrima massima di De La Rochefoucauld sintetizza mirabilmente il nodo centrale di questo film. Cannes l'ha premiato (Un certain regard), è passato in sordina al TFF e ha 'rischiato' di finire in nomination agli Oscar; Turist (o Force majeure: titoli con cui il film è stato immesso sui mercati stranieri, poichè in Italia nessuno si è preso il disturbo di distribuirlo) è comunque un illustre sconosciuto per le sale italiane, ma decisamente più illustre che sconosciuto. Ruben Ostlund, classe 1974, è al suo quarto lungometraggio a soggetto e dimostra ottime competenze dietro la macchina da presa; il suo stile è fortemente debitore a quello tracciato dall'austriaco Haneke, capace di mettere in scena un dramma fibrillante di angoscia procedendo per sottrazioni, senza mostrare effettivamente alcunchè di raccapricciante. L'unica 'scena madre' qui è quella della valanga al centro della trama: sono in fin dei conti pochi secondi e, immediatamente dopo, la sequenza sembra destinata a essere dimenticata nell'economia del film, o al massimo ricordata per l'efficace spettacolarità, al netto di un'utilità scarsa per la logica della trama. E invece lo spettatore non potrà fare a meno di rielaborare, insieme ai protagonisti, quelle immagini per tutto il resto della storia, che diviene uno psicodramma famigliare via via più intenso e, quant'è peggio, sostanzialmente irrisolvibile. Il ruolo della donna e quello dell'uomo si mettono a confronto dinnanzi alla catastrofe e naturalmente la protezione e il sacrificio materno ne escono meglio rispetto all'individualismo e all'indipendenza del maschio (e fin qui c'è molto Von Trier, che ripete simili concetti in parecchie sue opere), ma il succo del discorso ridotto ai minimi termini sta nella diversa percezione della morte da parte dei due sessi, con le agghiaccianti conclusioni che nessuno vorrebbe trarre, riprendendo il motto di cui in incipit. Le eccezioni sono possibili (lo mostra il personaggio dell'amica libertina di Ebba), ma pur sempre eccezioni (quando Tomas affronta la tempesta di neve per salvare la moglie, abbandona comunque i figli: è forse questo eroismo?); altre considerazioni interessanti nascono sul piano delle reazioni dell'individuo nella massa, sociologicamente portato a seguire l'esempio altrui e a 'spegnere' momentaneamente il cervello: come a dire: nelle situazioni di pericolo con forte sintonia di gruppo, anche la donna si comporta da uomo (il finale della pellicola, in pratica). Nota di merito per gli interpreti, tutti svedesi di scarsa notorietà all'estero (Johannes Kuhnke, Lisa Loven Kongsli, Kristofer Hivju), ma indubbiamente ciascuno al giusto posto. 6,5/10.

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