Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film
Per essere il suo ultimo lungometraggio per il grande schermo, Alberto Lattuada poteva senza ombra di dubbio fare qualcosa di più. Anche e soprattutto perchè ha a disposizione i mezzi più consoni per realizzare un'opera perlomeno apprezzabile, dignitosa, insomma qualcosa di meglio di questo piatto e insulso, privo di alcun mordente fotoromanzetto. Innanzitutto c'è, come soggetto, un romanzo - forse non fra i migliori, il dubbio spontaneamente sorge - di Piero Chiara, che una quindicina di anni prima aveva già fornito a Lattuada, con un suo racconto, lo spunto per il bel Venga a prendere il caffè da noi (e suo è anche il romanzo da cui Risi trasse La stanza del vescovo); Chiara, che morirà l'ultimo giorno di quello stesso anno, collabora inoltre alla sceneggiatura con Lattuada, Franco Ferrini ed Enrico Oldoini. Poi, il cast tecnico: fotografia di Luigi Kuveiller, montaggio di Ruggero Mastroianni, musiche di Armando Trovajoli, tutti nomi eccellenti: ma a che scopo, se la confezione dev'essere tanto banale, impersonale? Quindi ci sono due comprimari di lusso, fra gli interpreti, quali Gastone Moschin e Antonella Lualdi; ma a nulla servono, in questo pasticcio rosa con accenni thriller, anche perchè i ruoli dei protagonisti sono rivestiti da Sophie Duez, semi esordiente che tale rimarrà ancora per una decade, faticando (comprensibilmente, se si guarda questo film) nell'immediato seguito a trovare ingaggi, e al figlio di Alain Delon, che non avrà (qui) neppure un millesimo del fascino e del carisma del padre, ma in tali doti se la cava sempre meglio che in quelle recitative, su cui è meglio sorvolare (anche lui avrà una carriera nella serie B del cinema). Lattuada, si diceva, chiude così la sua attività per il grande schermo (realizzerà un corto per i mondiali di Italia '90 e un paio di lavori televisivi): peccato davvero. 4/10.
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