Regia di Diana Dell'Erba vedi scheda film
Difficile non farsi prendere da un attacco di misoginia dopo avere visto questo pessimo documentario di Diana Dell'Erba, il cui tono rivendicativo emerge fin dalla didascalia in testa all'opera: da statistiche non ufficiali, dice, risulta che in Italia su 100 registi solo 7 sono donne. Il film è tutta una geremiade sulla discriminazione, su quanto sia difficile, se si porta la gonna, ottenere quattrini dai produttori e tenere a bada i maschiacci (soprattutto se meridionali, sentenzia Ilaria Borrelli, la minus habens che ha girato film come Mariti in affitto e Wine and kisses e alla quale spetta l'Oscar per le risposte più insulse, ex aequo con Nina Di Majo che ci tiene a sottolineare che lei, poverina, per girare i film deve imbruttirsi, altrimenti è tutto un viavai intorno alle sue sottane…).
Non una parola, se non quelle di quella vecchia cariatide di Gian Luigi Rondi, sul contributo delle donne al cinema italiano, fatta eccezione per la pioniera Elvira Notari, a cui Maria De Medeiros presta il volto per una ricostruzione fiction imbarazzante, per Lina Wertmüller e per Liliana Cavani. Ma gente come Donatella Maiorca (Viola), Anne Riitta Ciccone (Le sciamane), Susanna Nicchiarelli (Cosmonauta) e la stessa Nina di Majo (Autunno) li vedono i film di colleghi come Soldini, Giordana, Garrone e Sorrentino o vivono sulla luna? Al di là delle desolanti testimonianze (irritante il citazionismo di Alselma Dall'Olio, il marito di Giuliano Ferrara, e di Francesca Archibugi), questa docufiction è un'accozzaglia di sciatteria, immagini flou con una bambina alle prese con un puzzle e vuoto pneumatico di idee. La Dell'Erba, poi, non è neppure in grado di curare il sonoro, che in alcuni momenti è ovattatissimo. Anche se le parole della Ciccone sono tutte ampiamente perdibili.
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