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Anarchia - La notte del giudizio

Regia di James DeMonaco vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Anarchia - La notte del giudizio

di cielioscuriAutoproduzioni
4 stelle

The Purge: Anarchy (Anarchia-La notte del giuduzio) di James DeMonaco è il sequel di The Purge, horror del 2013 dello stesso regista.

DeMonaco, in questo secondo film, adotta un registro da survival/action, invece che da horror e utilizza in maniera ancora più esplicita la Purificazione come metafora di un sistema governativo in cui, con la scusa di permettere, una volta l'anno, la libertà più assoluta, le élite al potere fanno sì che i poveri si uccidano fra di loro, facendo gli interessi dei ricchi.

Questo tipo di sistema ne ricorda un'altro fin troppo reale. Un sistema che, come quello descritto da Noam Chomsky nel suo Sulla nostra pelle (Il Saggiatore, 2010), crea individui disimpegnati, vittime di un generale sentimento di scoramento e di impotenza sociale: «un sistema in cui la dottrina del libero mercato è emersa in due versioni, la prima è quella ufficiale imposta agli indifesi, la seconda è quella che potremmo chiamare “la dottrina del libero mercato realmente esistente”: la disciplina del mercato va bene per te, ma non per me, se non per trarne un vantaggio temporaneo».

In poche parole “il sistema” che sta dietro la Purificazione è una metafora del sistema di organizzazione sociale, economico e politico delle democrazie neoliberiste.

Per capire però il carattere della visione ideologica veicolata da DeMonaco, si deve analizzare il significato che assume la parola Anarchia del titolo, piuttosto che la trama del racconto filmico.

Trattando, il film, tematiche come il controllo governativo, i genocidi commessi a favore di una imposta pace sociale, la lotta fra élite ricche e poveri proletari, sarebbe lecito aspettarsi che la parola Anarchia sia attribuibile ad una eventuale ideologia seguita da Carmelo Jones o quantomeno venga ad esser associata alle pratiche con cui ci si oppone a quel sistema oppressivo.

Invece l'autore non fa mai pronunciare a nessuno questa parola ed evita accuratamente di attribuire ad un qualsiasi personaggio l'ideologia ad essa inerente.

Essa è da riferire alle azioni di Jones e dei protagonisti del film – che in alcuni punti ricordano l'associazionismo spontaneo e le pratiche dell'insurrezionalismo - o semplicemente al caos controllato che deriva dalla Purificazione, in cui “tutto” è permesso?

Proprio tale ambiguità va considerata come una presa di posizione conservatrice ed il reale significato politico del film sta proprio qui!

Il blockbuster, infatti, si inserisce nel genere action/fantascientifico che strizza l'occhio al filone dei supereroi. Questo genere spesso presenta uno schema ben definito di cliché e stereotipi, anche ideologici, fra cui si può rintracciare quello secondo il quale Anarchia e anarchico difficilmente sono sinonimo di rivoluzione e rivoluzionario, ma piuttosto di terrorismo e criminale.

Dunque appare razionale pensare che quando il pubblico legge quella parola con la A, nel titolo di un film che utilizza i moduli narrativi di questo genere e che racconta una storia basata sul rischio che gli uomini, lasciati liberi, divengano dei mostri sanguinari, pensi subito alla comune definizione di Anarchia, diffusa dai media: caos e distruzione.

Il fatto che poi The Purge: Anarchy nella sua narrazione ribalti i moduli di genere – l'antieroe si salva perché rinuncia alla vendetta, gli uomini lasciati liberi non diventano tutti degli psicopatici - rende il prodotto un filmetto interessante e con qualche spunto, ma non lo pone in una prospettiva ideologica realmente diversa dai prodotti dello stesso filone, più apertamente reazionari.

Bisogna considerare, infatti, che il denunciare il capitalismo neoliberista nella fantascienza filmica è un gioco vecchio – si pensi alla Detroit di Robocop (Paul Verhoeven, 1987), governata dalle multinazionali o al classico Blade Runner (Ridley Scott, 1982) – il quale rientra ormai in dei canoni codificati e che quindi ha perso la sua - se mai ne avesse avuta - forza eversiva.

Anche l'idea che ci siano delle forme di resistenza più o meno libertarie è cosa vecchia, così come lo è l'escamotage di non attribuire a queste forme un nome specifico, che si possa aggrappare ad un qualcosa di esterno al mondo di celluloide.

L'opera stessa dunque si rifiuta di andare oltre la fantasia distopica, evitando di attribuire il suo referente ideologico al sottotitolo che gli autori hanno scelto.

Attribuire infatti il suo reale significato politico alla parola Anarchia – oltre che scombinare le aspettative del pubblico stesso del film – avrebbe fatto assumere all'opera un valore culturale molto più interessante: partendo da delle pratiche di lotta o resistenza “antisistema” finzionali, il nostro prodotto hollywoodiano sarebbe arrivato a suggerire come queste possano essere reali, anche nel contesto non fantascientifico – e, di conseguenza, come nella realtà esse siano dirette non contro una qualche dittatura fittizia, ma contro il sistema economico vigente nel nostro mondo.

D'altronde nel mondo non «fatto della stessa materia dei sogni», libertà, uguaglianza e giustizia non sono mai considerate delle priorità, anzi spesso divengono un ostacolo al raggiungimento della maggiore efficienza dell'economia neoliberista, al di fuori della quale il cinema hollywoodiano non potrebbe essere e The Purge: Anarchy non avrebbe potuto vedere la luce degli schermi!

 

 

 

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