Regia di Richard Glatzer, Wash Westmoreland vedi scheda film
Cos'è, in fondo, che convince di Still Alice e lo rende, più di ogni altro fattore, un lavoro valido, nonché un prodotto funzionale?
Per chi scrive, le suddette carte vincenti son da riscontrare nel fatto che gli autori non approfittino, con sgradevole e banale furbizia, della tematica trattata, non avvalendosi, di conseguenza, di scontati e drammatici manierismi formali, rinunciando, da un lato, all'enfasi stilistica, tipica, ad esempio, del cinema di Amenabar; dall'altro lato, rinunciando alla mise en scene fredda e distaccata, come insegna il cinema di Haneke.
Tirando le somme, l'aspetto trionfante di Still Alice risulta essere, appunto, il distacco dai (consueti) modus operandi sopracitati, avvalendosi, invece, di una mise en scene normale e sincera; la vicenda viene messa in scena, semplicemente, in maniera sobria, delicata e, soprattutto, onesta.
Tra l'altro, per il sottoscritto, è impossibile non citare l'importanza del finale: non è un ricordo figurato quello che Alice rimembra; ma è un ricordo filmato, nonché un filmino. Ecco che il Cinema rivela, per l'ennesima volta, tutta la sua potenzialità, dimostrando di essere il vero, solo e unico, contenitore di ricordi possibile oggi.
E l'ultima Immagine? Cos'è? Uno schermo bianco, controcampo salvifico del consueto schermo nero. Un oblio al contrario. Eden del ricordo. Il Non-ricordo dei ricordi.
E in quell'infinito bianco mnemonico, tramite una dissolvenza incrociata, appare STILL ALICE: in quell'immensità bianca, emerge il ricordo di sé, che tenta ostinatamente di r/esistere; emergono due parole, ad evidenziare, vista la dimensione delle suddette, l'importanza che queste hanno avuto nella vita della protagonista.
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