Regia di Richard Glatzer, Wash Westmoreland vedi scheda film
Scivolano, le memorie di Alice, fuori dell’inquadratura, sfocata ai margini, e attorno alla sua nuca di capelli rossi il quieto scenario domestico si satura di vibrazioni sinistre. Affermata professoressa di linguistica, un premuroso marito accademico, tre figli (più o meno) serenamente adulti, una bella casa newyorkese: Alice ha solo cinquant’anni, un’esistenza privilegiata e una diagnosi di Alzheimer precoce, che inizialmente inganna con qualche trucco del mestiere e l’ausilio della tecnologia. Glatzer & Westmoreland hanno una straordinaria Julianne Moore e fanno la scelta giusta: l’anticonvenzionalità di Still Alice - che altrimenti s’installerebbe nel collaudato genere di film sulla malattia - sta nel non mollare mai la sua protagonista, indagandone le reazioni, tentando di forzare la sua mente in dissolvimento, inseguendone l’orrore della consapevolezza prima, e poi l’inesorabile affievolirsi della luce del ricordo dagli occhi, dalla pelle, dal corpo. Se ai margini scivolano anche l’approfondimento degli altri personaggi, gli accenni di mélo familiare (che pure Stewart, Baldwin e Bosworth sanno suggerire), una trama talvolta incerta, non è troppo grave: per quanto senza guizzi d’originalità registica o di scrittura, Still Alice sa corrispondere in modo quieto e composto, discreto e pudico, alla terrificante patologia che racconta, fatta di silenzi e vuoti, qualcosa che ci abbandona senza far rumore e senza lasciare alcuna rassicurante scia di speranza.
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