Regia di Anton Corbijn vedi scheda film
All’interno del cinema biografico contemporaneo, s’è consolidata la tendenza ad isolare una parte di vita dell’oggetto raccontato: restando nell’ambito delle star, Marilyn (sulle riprese de Il principe e la ballerina), Hitchcok (il making off di Psyco), Saving Mr. Banks (la battaglia per Mary Poppins). L’obiettivo, nemmeno troppo velato, è di proporre una visione globale sul personaggio attraverso la rievocazione di un episodio particolare. Life s’inserisce certamente in questo filone e il titolo, benché alluda alla celebre rivista, esprime proprio questo: la breve vita di James Dean non ha bisogno di un altro biopic illustrativo, ma può essere filtrata dall’incontro con il fotografo Dennis Stock, che lo scelse come protagonista di un rinomato servizio.
Servendosi abilmente della sceneggiatura di Luke Davies, interessata soprattutto al rapporto di forza tra l’attore e il fotografo, Anton Corbijn mette in scena una sorta di “cronaca di una morte annunciata” del più complicato tra i divi (tenero e rapace, ambizioso e sofferto, sfrontato ed umile), declinandolo sì come un racconto inevitabilmente crepuscolare (le luci soffuse della festa iniziale si rarefanno progressivamente fino ad una freddezza che è anche una dichiarazione dintenti) e soprattutto privato senza mai eccedere nella superficialità di un mondo patinato (la love story con Pier Angeli non appassiona più di tanto: meglio il ritorno in Indiana). Forse non del tutto centrato quando si vuole conferire alla figura di Dean una maturità probabilmente eccessiva (la declamazione della poesia) e nello schematico ritratto familiare di Boots, è tuttavia un buon prodotto un po’ dimesso ma interessante. Robert Pattinson cesella con minimalismo, mentre il pur ispiratissimo Dane DeHaan è meno bello di Dean.
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