Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film
Cosa ci può portare fuori dai binari già segnati e che non si vuole percorrere? Forse l’amore, sicuramente l’amore, quello vero, non di convenienza. Un amore così forte da potersi definire cieco. Ma cieco veramente.
Cosa ci può salvare da un futuro senza futuro? Quando ci aspetta una fine miserevole prospettata dal “potere” che decide per tutti, dove si può scegliere – in maniera disperata e rinunciataria – se riuscire a trovare un’anima gemella, tanto gemella che devono coincidere particolari fisici e mentali, per poter continuare a vivere nella solita perpetua vita asettica e inutile oppure rassegnarsi e scegliere un animale in cui perpetuare il futuro, fino a quando “un animale più grosso ti mangerà”? Cosa ci può portare fuori dai binari già segnati e che non si vuole percorrere? Forse l’amore, sicuramente l’amore, quello vero, non di convenienza. Un amore così forte da potersi definire cieco. Ma cieco veramente.
Se la distopia è il contrario dell’utopia vuol dire che è un regime indesiderato in cui l’uomo non vuole vivere e in cui egli diventa un oggetto che parla e ha tutte le funzioni sessuali e organiche ma al comando e assoggettato ad una società spaventosamente dittatoriale. Un regime fatto di orari, compiti, spostamenti decisi altrove, dove il corpo può diventare utile agli altri (vedi il bellissimo Non lasciarmi di Mark Romanek) o non aver alcuno scopo se non la riproduzione e in alternativa trasformarsi in un animale che altrimenti andrebbe in estinzione. Si può desiderare di diventare un cane, perfetto essere fedele e di piacevole compagnia, si può pensare di trasformarsi in un esemplare più forte e grosso con la speranza di vivere e sopravvivere di più, oppure si può comprendere la scelta di David: diventare, in caso di insuccesso nell’hotel dove è stato deportato in quanto non ancora accoppiato pur avendo una certa età, un lobster, un’aragosta… Aragosta. Scelta dettata dal fatto che “Loro vivono oltre i cento anni, hanno il sangue blu come gli aristocratici e sono fertili tutta la vita. Poi io amo tanto il mare – dice David – sono bravo nello sci d’acqua e nel nuoto, sono bravo da quando ero ragazzino”. In realtà un spruzzo di ingenuità e di candore in un ambiente ostile e pragmaticamente severo. Matematico direi quasi.
Ci sono momenti in cui il film pare veramente atroce, perfino nella sua estrema semplicità, nella sua linearità: un mondo così lontano e che invece sembra possa essere così terribilmente attuale. È come essere in un incubo ma la notevole bravura del sorprendente Yorgos Lanthimos, regista greco, ce lo mostra come un mondo possibile, virando pian piano verso il finale in un umanissimo film d’amore, un amore invece impossibile, ma forte, forte, fino ad arrivare alla sequenza finale molto inattesa. L’amore cieco, appunto. Perfino le periferie della città irlandese dove è stato girato il film mostrano un mondo spoglio, lugubre, asettico e deserto, un luogo quindi dove l’amore vero, con un sentimento forte, è impossibile che venga a materializzarsi. È indubbiamente una storia d’amore unica come è unico questo straordinario film, sia nel panorama generale del cinema sia nell’ambito stesso dei soggetti che parlano di società distopiche.
Se Yorgos Lanthimos riesce benissimo a realizzare un’opera molto interessante e fuori da ogni schema finora visto, gli attori sono tutti adeguatamente all’altezza. A cominciare dal più inaspettato Colin Farrell, ingrassato, impacciato, timido, taciturno, ben consapevole della strada difficile e piena di pericoli che sta percorrendo. Rachel Weisz è come sempre incantevole, un raggio di bellezza triste nella spietatezza del mondo che la circonda e la sua voce sensualmente nasale fa anche da voce narrante sin dal primo momento. Gli altri attori dell’ottimo cast, compresi il solito indispensabile e jolly John C. Reilly e la ferrea e insospettabilmente feroce Léa Seydoux, sono tutti bravi, tutti votati a creare un’atmosfera che regna assoluta sull’ignaro spettatore, soprattutto quando il finale piomba inesorabile come una ghigliottina, troncando il racconto quando meno te lo aspetti.
Ultimo protagonista è il bosco, luogo di riparo di chi scappa verso una libertà solo apparente, dove è difficile capire se si sta meglio o peggio rispetto al glaciale e finto accogliente hotel che accoglie i deportati. Il bosco è la patria dei partigiani e coloro i quali riescono a scapparvi sono dei veri partigiani, cioè quelli che combattendo a loro modo lottano per la libertà contro la dittatura. Siamo o no in un mondo poi non così tanto lontano dalla realtà attuale?
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