Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film
Se è una favola, è disperata. Se è realtà, lascia ancora un piccolo spazio ai sogni. The Lobster è un trattato di rara profondità sull'uomo, la donna, le sue scelte, le sue necessità. Sicuri che sia ambientato nel futuro?
Che coss’è l’amor? E soprattutto: che peso e senso dare alla sua ricerca ed alla sua perdita? Quale maledizione impedisce una felicità che non sia per contratto? Le coppie ed i solitari: animali in divenire o schegge di abbrutimento consapevole. Due facce di un mondo che Lanthimos scandaglia con ferocia lucidissima, un mondo che appartiene al futuro ma forse anche al passato di tutti i passati, padrone e dominus di una impossibilità di realizzazione personale che pare nata con il Big Bang, e che gli schemi sociali si sforzano di incanalare lungo la direzione del deve essere. Inutilmente, ça va sans dire.
La metafora quasi favolistica dell’animale ci costringe a riflettere sulla generale perdita di senso nelle (e delle) relazioni umane. La solitudine è il disperante contenitore dei sogni infranti, in quanto tale vietata, ovvero una scelta esclusiva (che esclude) del sentimento dell’altro (mero interlocutore, ovvero semplice marionetta di finzione sociale). Al contempo la coppia ha in sé il germe della riconoscibilità reciproca (il sofferente di epistassi con la sofferente di epistassi, il miope con la miope, la cieca con colui che deve diventare tale, pena il continuare a fuggire, a vergognarsi, a ballare bertoluccianamente da solo). Eppure il sogno fanciullesco dello specchiarsi nell’altro, là dove la dimensione onirica sembra essere stata normativamente bandita – certo non siamo dalle parti della bilancia senza peso di Ferro 3, per dire – è esso stesso incubo, prodromo di risvegli che frantumano certezze e stigmi di socialità imposta (la direttrice dell’hotel letteralmente costretta a capire che la sua relazione si fonda su palafitte di ipocrisia pronte a cadere di fronte al primo refolo di vento).
Lanthimos imbraccia una lira e le fa suonare note di dissonante integralismo. La voce fuori campo che ricorda (un amore proibito per legge e per scelta, esistenzialisticamente definitiva o quasi, il suo nascere e svilupparsi, la sua capacità di imporre mutamenti, di campo, di prospettiva, persino di corpo) si fa di volta in volta sognante, romantica o stridula (il sogno erotico che irrompe violento e senza mediazioni, in quella dimensione carnale che ancora conserva il suo fascino, nella generale ovatta che lo contiene); mentre, intorno, nel contesto di una clinica per single, il Potere dei Sentimenti cerca di imporre le sue regole, fidelisticamente ed acriticamente (l’atmosfera dei brevi quadretti ricorda in maniera impressionante le infusioni/trasfusioni di fede dell’altrettanto soffocante Lourdes), forte della banalità: una donna accompagnata è più protetta, un uomo solo che abbia un incidente domestico è destinato a morte certa, e pressochè voluta.
The Lobster è un quasi capolavoro che lascia brevi segni striscianti nella psiche di chi lo ha guardato. Resta alla fine il dubbio che l’amore sia la mano di Colin Farrell incapace di stendere sulla spalla una pomata ovvero perfettamente in grado di automutilazioni. Oppure che esso sia possibile soltanto in una generale cornice di effusioni recitate. O ancora: sì, forse è giusto. Amare solo per decreto, secondo regole e pandette. Molta fatica evitata, troppi tour nell’altro da sé elusi con comodità. Del resto essere animali portati al pascolo o non poter impedire la nostra trasformazione in bestie, fa poca differenza.
P.S. Ad ogni modo, vorrei dire a Rachel Weisz che anche io sono miope.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta