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The Lobster

Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film

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La recensione su The Lobster

di OGM
8 stelle

L'aragosta è un'idea individuale che emana da una follia collettiva. Imposta dall'alto. E sostituibile solo con la follia avversaria. Rivoluzionaria, ma non meno assurda e crudele.

Sarebbe un romanzo. Basterebbero le parole scritte e lette, i discorsi indiretti riferiti dal ricordo, per narrare una storia  come questa, senza tempo né luogo, collocata nel passato, proiettata nel futuro. Sarebbe sufficiente ricapitolarne gli eventi, con il tragico accento imposto dal senno di poi, se questa fosse solo una fantasia, un’immaginaria distorsione della realtà, l’eccentrica allegoria di un incubo. Ma questo racconto appartiene al mondo, alla società, a noi tutti. E in quanto tale non può fare a mano della continua, ossessionante presenza dell’essere umano, ugualmente gravato di violenza ed inadeguatezza, di prepotenza come di vergogna. Le imposizioni sono un crudele rimedio alla nostra imperfezione, i modelli comportamentali sono vere e proprie prigioni, solo falsamente rieducative. I carcerieri sono spietati, come anche i detenuti, quando si ribellano. E tutti sono ugualmente deboli, incapaci di far fronte al dono,  sconfinato e indistinto, della libertà di scelta. Nel paese in cui vive David, è obbligatorio vivere in coppia. Chi, per qualsiasi ragione, si ritrova single, è condannato ad un soggiorno forzato in uno speciale hotel, nel quale gli viene assegnato un tempo limitato per rimediare alla propria condizione, pena la definitiva trasformazione in un animale. Si possono guadagnare giorni supplementari solo con i punti raccolti in un gioco di guerra a base di proiettili di anestetico. Per fuggire occorre spesso uccidere davvero. Per poi, magari, trovare riparo nell’universo antagonista, selvaggio e non meno totalitario di quello ufficiale: una condizione clandestina in cui la regola tassativa è quella di mettere al bando l’amore, in tutte le sue forme, e di restare soli, fino alla morte. Il sentimento, di per sé incoercibile, è ovunque fatto oggetto di norme assolute ed insensate, la cui sostanza è  pura teoria, ed assegna doveri morali fuori da ogni logica, pretendendo di arginare, così, ciò che risulta contro natura, ossia disordinato, pericoloso, bestiale. Un potere dispotico viene esercitato apparentemente a fin di bene, associando la disciplina al buon funzionamento della vita collettiva e individuale, ed eliminando le eccezioni, considerate minacciose anticipazioni del caos. A muoversi là sotto, all’ombra di un’autorità meccanica e dalla condotta irreprensibile, è l’ordinaria insicurezza delle persone comuni, che subiscono gli eventi senza capirli, sia quando sono prodotti dal destino, sia quando sono frutto di volontà superiori. I connotati – ed insieme le difficoltà – dell’esistenza di ognuno scaturiscono dalla somma delle singole manie e debolezze, dei difetti fisici e delle sciagure affettive, delle mancanze che rendono infelici e dei vantaggi che si rivelano inutili. Amare i biscotti al burro. Avere il mal di schiena, essere blesi, claudicanti, soffrire di epistassi. Avere una madre lupo o un fratello cane. Essere senza cuore, vincere sempre, e non sorridere mai. Avere capelli splendidi, essere ammirate e fallire miseramente. Le rispettive tare non si incastrano, se non per un attimo, se non per finta. Incontrarsi è solo il perverso risvolto di un inganno, il suo esito o la sua premessa. La nostra unicità è un tesoro che ci condanna all’isolamento, e ci illude solo quando si traveste, si inventa un ruolo e un linguaggio non suo, e prova a scendere a patti con un’irraggiungibile alterità. A chi ci vorrebbe diversi  reagiamo inseguendo una nuova diversità, che non appartiene a nessuno, costruendo un’identità fittizia e compromissoria, precaria e potenzialmente fatale. La verità non sta nel mezzo. Non si nasconde nei punti di contatto tra gli esseri. Non è definita dai nostri contorni, dai nostri tratti generali.   Non esistono specchi, legami, strutture che permettano di descriverci come un insieme di creature simili, unite da specifiche relazioni, attratti da istinti convergenti. Per questo motivo, perché si possa parlare di noi, dobbiamo esserci, come prove viventi ed imperscrutabili della nostra vagabonda, estrosa, assurda e sfortunata informità. 

 

Léa Seydoux

The Lobster (2015): Léa Seydoux

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