Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film
ANNO: 2015, REGISTA: Yorgos Lanthimos (Grecia), PRODUZIONE: Gran Bretagna, LINGUA: inglese, SET: Irlanda (Dublino, Contea di Kerry, Kenmare), DURATA: 118', CON: Colin Farrel, Rachel Weisz, Léa Seydoux, Angeliki Papoulia.
TRAMA
In un mondo alternativo e presumibilmente futuro (ma non così lontano), è vietato essere single: i solitari sono costretti a permanere per 45 giorni all'interno di un hotel e se alla fine non troveranno un partner verranno trasformati nell'animale da loro scelto. Il partner deve necessariamente avere una caratteristica in comune. Per protrarre il periodo di soggiorno nell'hotel i solitari devono catturare, cacciandoli nel bosco, i solitari fuggiaschi.
David (Colin Farrell), miope, è stato lasciato dalla moglie e sceglie l'aragosta come animale (da qui il titolo The Lobster) perché vive a lungo, rimane sempre fertile e vive nel mare. Nel corso dei 45 giorni capisce che gli è impossibile innamorarsi veramente di qualcuno e per questo decide di fingere di essere completamente insensibile per poter accoppiarsi con una donna priva di qualunque emozione (Angeliki Papoulia). Ella però scopre la sua menzogna e così lui è costretto a trasformare lei in un animale e a fuggire per non essere trasformato a propria volta.
Fugge nel bosco dei solitari, dove l'amore è bandito in ogni sua forma, pena la punizione corporale (mutilazione). Lì però si innamora di un'altra solitaria (Rachel Weisz), miope come lui, ed è costretto a vivere questo amore clandestinamente e a pianificare la fuga dal bosco. I due vengono scoperti dalla leader del gruppo (Léa Seydoux), che impedisce in modo drastico la loro unione.
Alla fine i due dovranno trovare una soluzione che gli permetta di continuare ad amarsi, ma sarà una soluzione drastica e senza ritorno.
GIUDIZIO: L'AMORE INVISO
Ho visto questo film due giorni fa, ho dovuto digerirlo e rielaborarlo per poter avere un giudizio completo.
La prima reazione è stata di straniamento e ansia per uno scenario surrealistico ma verisimile, sebbene il regista greco non riesca a convincere fino in fondo. Inizialmente non riuscivo a comprendere fino in fondo la ragione di questo distacco, ma riflettendoci meglio, la ragione mi sembra da ricercarsi nel tipo di recitazione (teatrale ma non troppo) e negli esiti finali della trama. Uso il plurale per indicare le diverse storie dei personaggi, che alla fine, in qualche modo, perdono tutti: chi la vita, chi la vista, chi la forma umana.
L'amore non esiste, almeno per come lo intendiamo noi (puro, disinteressato, sincero): è narrato continuamente nel film, ma risulta irreale, distante, impossibile e soprattutto è sempre correlato a qualcosa di esterno e superficiale, addirittura crudo e straniante, mai affrontato a un livello profondo "romantico-sentimentale". Risulta impossibile sia nel primo scenario (l'hotel-lager in cui ogni solitario deve forzatamente trovare un partner, pena la trasformazione in animale), sia nel secondo (il bosco dei solitari, in cui è vietato perfino lo sguardo interessato). In entrambi i casi c'è un contesto esterno che tiene sotto stretto controllo tutto e tutti, in un miscuglio di sentimenti negativi (rabbia, ansia, paura), che rende necessaria la menzogna perché sia possibile l'amore e che è ciò che maggiormente rende lo spettatore interessato e curioso.
L'unico momento in cui esso fa davvero capolino (e mai lo fa attraverso i dialoghi, che al riguardo sono sempre forzati e surreali), è la scena nel bosco tra i due protagonisti, quando essi ballano insieme sincronizzando la canzone, ognuno con il proprio paio di cuffiette. In silenzio.
The Lobster (2015): Rachel Weisz, Colin Farrell
Lo scenario è un mondo possibile di sentimenti inesistenti e attesi visti dall'esterno, quasi una sorta di Grande Fratello, in una rappresentazione cruda, fredda e impassibile di stampo orwelliano. Talmente fredda che non ci permette di empatizzare con nessuno dei personaggi, ognuno dei quali gioca una parte che non possiamo condividere fino in fondo (e forse sta tutta qui la ragione del distacco dello spettatore di cui parlavo prima).
L'atto di ribellione finale dei due protagonisti ha il sapore del sangue e del sacrificio, uniche vere alternative alla menzogna, che a sua volta era l'alternativa all'annientamento. Ma la premessa principale di questo sacrificio, il fatto che i due amanti debbano necessariamente avere qualcosa in comune, risulta infine assurda e non credibile: in quanto esseri umani essi potrebbero trovare altre caratteristiche comuni, e invece no, infine sarà sempre la vista/cecità di entrambi a permettergli di essere coppia (il cliché dell'amore cieco che si realizza).
Interessante, ma alquanto manieristico, è il taglio tecnico del regista: atmosfere lugubri e inquadrature minimaliste, mai sovraccariche, in cui si intravvedono riferimenti ai maestri del cinema passati (Bruñel, Kubrick, Godard), pochissimi movimenti di macchina e carrellate, ma anche rari i primi e primissimi piani "classici" (viso/dettagli), al contrario moltissimi campi medi e lunghi. La colonna sonora (curata da Johnnie Burn), riprende lugubremente musica classica (Beethoven, String Quartet in F Major, Op. 18, No. 1 e Stravinsky, Third Movement dei Three Movements for String Quartet), ma anche ballate romantiche (Nick Cave, Where the Wild Roses Grow, Attik, Apa mesa pethamenos). Non ci è dato ascoltare, compatibilmente con la trama, la musica elettronica, così compatibile con la vita dei solitari (uno dei molti momenti assurdamente ironici del film!).
Interessanti sono anche i richiami frequenti ad altre opere letterarie, teatrali e artistiche: il già citato 1984 di Orwell, il teatro surrealista del 900 e contemporaneo, con la recitazione enfatizzata, la Guernica di Picasso per alcune inquadrature violente e in particolare per quella del cane.
Il mio giudizio sul cast, per la prima volta internazionale in un film di Lanthimos, è ottimo: Colin Farrell magistrale e calzante (perfino cantante!), Léa Seydoux bellissima e fatale, Angeliki Papoulia conferma la sua aderenza perfetta alle tematiche di Lanthimos, Rachel Weisz talentuosa, dolce e anche lei adattissima per questo ruolo.
Lo sguardo freddo e distaccato porta lo spettatore a focalizzarsi sempre su due alternative simmetriche e opposte: la menzogna o la solitudine, la fuga o l'annientamento, l'annientamento dell'altro o di se stessi. Un procedimento vorticoso, incessante, ineluttabile e disturbante che è presente dall'inizio alla fine e che a mio parere è ciò che rende questo film così curioso.
Si nota comunque l'impronta personale (più etica, morale e psicologica che tecnica ed estetica, infarcita com'è dei troppi riferimenti evidenti) del regista nella rappresentazione di questo distopico mondo dal quale la fuga appare sempre impossibile, che richiama a mio parere in modo forte altri due lavori (Alps e Dogtooth) dello stesso. Emerge anche una profonda sfiducia nel genere umano crudele, vigliacco e meschino, e un disgusto totale (e terrificante) per l'attuale mercificazione dei sentimenti e delle emozioni, che non a caso risultano completamente assenti (o solo in apparenza presenti) da tutti i personaggi.
Lanthimos sembra occuparsi più del piano etico che di quello estetico, soprattutto nella seconda parte. La volontà principale è sicuramente quella di dimostrare come il mondo esterno, rappresentato dai due poli antitetici e simmetrici entrambi rappresentati dall'interno, della società civile (rappresentata dalla città e dall'hotel) che accetta solo coppie, e del bosco crudo, che accetta solo solitari, controlli ogni decisione e volontà del singolo e lo riduca ineluttabilmente a essere vittima o carnefice di sé e degli altri. Un tema già visto e rivisto nella nostra cultura (molto meno per il cinema che per la letteratura), ma comunque affrontato qui, insolitamente in campo cinematografico, in maniera nuova e abbastanza imprevedibile e inusitata.
The Lobster (2015): Colin Farrell, John C. Reilly
The Lobster (2015): Léa Seydoux
Nel complesso lo ritengo sicuramente da vedere, anche se ho qualche riserva sui modi un po' troppo velleitari, presuntuosi e pretenziosi del regista, che soprattutto nella seconda parte lascia insolute alcune domande per arrivare a una dimostrazione secondo me troppo accelerata della tesi alla quale vorrebbe condurre con questo suo primo lavoro in lingua inglese.
Insomma, il soggetto è molto interessante sul piano metaforico e simbolico, la trama affascina, ma la realizzazione si rende quasi del tutto impenetrabile e in definitiva poco convincente.
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