Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film
Uomini & donne
Chi siamo noi veramente?
Uomini-animali sociali, fisiologicamente bisognosi di saperci appartenenti in tutto e per tutto alla nostra specie fino ad annullare le singole personalità, uniformarci alla massa mediante un processo di omologazione che contempla, in non rarissimi casi, la mimesi assoluta?
O siamo uomini-individualità singole e ben distinte, dotate ciascuna di specifiche caratteristiche tali da renderci incompatibili con i nostri simili, condannandoci, perciò, ad una solitudine ineluttabile e perenne?
Possiamo concepire una vita a due mantenendo inalterate le nostre originali peculiarità o dobbiamo mortificare noi stessi, tradire ciò che siamo e quello che sentiamo per auspicare a un’esistenza che risponda ai connotati della ‘normalità’ e non sia né raminga né solinga?
È possibile fare delle proprie rispettive differenze, fisiche e caratteriali, un punto di forza adamantino a cui appigliarsi per intraprendere insieme l’arduo cammino sulla terra?
Sono pochi coloro che riescono a riconoscere e assecondare la loro reale natura -di uomini solitari o sociali- e a costruirsi, di conseguenza, la propria dimensione senza dovere giungere a snaturare se stessi.
La maggior parte di noi, invece, resta avvolto in una coltre nebulosa, in perenne oscillazione tra un polo e l’altro, incapace di prendere consapevolmente una direzione. Lasciando che sia il flusso degli eventi a decidere quale la soluzione migliore per le nostre vite.
Vivere in coppia, con tutti i pro e i contro del caso, o scavarsi letteralmente la fossa nella piena coscienza di trovarsi in totale solitudine, di dipendere soltanto da se stessi, di non poter assolutamente contare su nessuno?
Gravoso, eterno dilemma che attanaglia l’uomo, oggi più che in passato, succube e schiavo del sistema che lui stesso ha generato. Nell’illusione di rincorrere una libertà ed una felicità che hanno la stessa consistenza della cartapesta.
Vivere in piena solitudine vorrebbe dire regredire allo stato bestiale: pensare esclusivamente a sé e al proprio sostentamento, soddisfare i propri bisogni in qualunque momento senza preoccuparsi di ferire la sensibilità altrui e contravvenire alle rigide etichette del vivere civile; significa limitarsi a intrattenere rapporti superficiali che non vanno oltre il saluto e una rispettosa convivenza tra estranei in un ambiente popolato da estranei.
Perennemente freddo e plumbeo. Fondamentalmente ostile.
Vivere con un compagno, invece, spalancherebbe di diritto le porte sul mondo.
Luce e calore procurano una gradevole sensazione avvolgente. Si può accedere a tutti quei luoghi che privilegiano lo stare insieme appassionatamente: gli alberghi con le stanze migliori, i grandi centri commerciali, soprattutto, concepiti per le uscite di gruppo, in cui fare acquisti col sorriso sulle labbra e fermarsi a pranzare in (quella che percepiamo) apparente armonia.
Ma c’è la paura, a scompaginare i rigorosi protocolli comportamentali validi ed efficaci solo sulla carta.
La paura di rimanere soli e, al contempo, quella di restare imprigionati nelle maglie insidiose di una relazione che non tolleriamo più. Che non sentiamo più appartenerci.
La paura di finire male. Nell’uno e nell’altro caso.
Fagocitati dalla nostra stessa umanità cannibale che tradisce le sue nobili intenzioni di partenza.
Rivelando, da sola o accompagnata, quell’indomabile istinto di sopravvivenza che la trasforma in un feroce animale selvatico. O, se si preferisce, in un automa svuotato del suo soffio vitale, il quale, per non mettersi nei guai, parla e agisce secondo collaudati schemi elementari e prestabiliti ripetuti all’infinito.
Opera certamente forte, certamente singolare, respingente e affascinante insieme per come esprime, attraverso l’uso di iperbole e toni grotteschi stemperati in una soffocante amarezza di fondo, quel persistente senso di disagio, di innaturalezza, di meccanicità contro ogni gesto spontaneo (rivelatore di una genuina personalità) alla base delle non-relazioni tra i personaggi.
La direzione sviluppata mediante riprese effettuate per lo più con camera fissa (campi lunghi alternati a medi e primi piani) riesce a trasmettere l’immobilità forzata in cui annaspano pesanti, rigidi e impacciati i protagonisti-mutanti di The Lobster.
La sgradevolezza gelida di The Lobster agghiaccia le ossa.
Riaccese le luci, tirare un sospiro di sollievo è una reazione del tutto naturale.
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Ciao Valerio, ho visto con notevole ritardo questo 'piatto servito freddo' da Lanthymos. Vorrei comunicarti, dopo avere letto con molto interesse la recensione di Amandagriss cui va il mio voto utile, quanto di 'letterario' ci sia in "The Lobster". Tu sai quanto mi interessino le fonti letterarie delle opere filmiche. In breve, nel caso del film in questione, mi pare che, al contrario del citatissimo film di Truffaut, Farenheit, mi si è attivato alla memoria altro: certe strampalate 'accademie swiftiane' [Laputa, Brobdignag], con tutti i paradossi che ivi si sperimentano; la freddezza sentimentale, temperata dal finale, ahimè poco persuasivamente 'romantico, rimanda al gelido mondo del migliore "Den Brysonne Mannen"; forte è la componente surrealista utopica 'al rovescio' del falansterio foureriano del "Nuovo mondo amoroso"; infine, il finale del doppio accecamente non può (ai più leggitori di memorabilia introvabili) il racconto incluso in "Due racconti crudeli" di Junichiro Tanizachi nel quale il vecchio innamorato si autoacceca per amore della sua amata donna. Troppe letture per un solo film? E avrà letto Lanthymos tutti questi libri. Non posso affermarlo né negarlo. Ma, si sa, un'opera può aprire vasti orizzonti e imperfetti, forse, nella ricezione individuale della stessa. Mi piacerebbe avere un tuo parere. Un saluto a a te e a tutti gli utenti qui.
Non ho memoria di tutto il patrimonio letterario che hai messo in evidenza ed è quindi per me difficile darti conferme certe (soprattutto per quanto riguarda Den Brysonne Mannen, ma ci puo stare perchè sono molte le "suggestioni" che produce la sua visione .A Tanizachi comunque avevo pensato anche io (e sono d'accordo pure sul fatto che certamente l'accostare il tutto al Truffaut è la cosa più immediata che può venire in mente per certe analogie che riguardano però più la struttura generale (parlo soprattutto della seconda parte) che non per il contenuto. I paradossi che l'opera mette in evidenza e narra, hanno alle spalle un'ascendenza che indubbiamente prende molti spunti dalla letteratura precedente e Swift ha certamente fornito (idealmente) molto materiale che Lanthymos ha comunque ben sviluppato in forme autonome. La cecità del finale (imposta e autoimposta) assume anche il valore di una metafora (che ha molte valenze anche contrapposte) più volte presente nelle opere di autori che l'hanno forse ancor meglio utilizzata (e non mi riferisco tanto a Saramago, quanto invece al Maeterlinck e al su atto unico "I ciechi" appunto) per raccontare le proprie verità (e divergenze) rispetto alle storture della vita (e in questo personalemnte la trovo meno "persuasivamente romantica" e in fondo anche più "disperata" di quanto invece l'abbia trovata tu) . Difficile immaginare quali sono state in questo campo le fonti ispirative del regista e quali autori possa aver potuto leggere(ammesso che li abbia letti): a volte le idee sono nell'aria, si sviluppano per reminiscenze antiche, per involontarie assonanze ma credo che sia alla fine importante l'approdo, ciò che tutto questo produce indipendentemente da dove si è partiti. Così è dunque anche per questa "densa" opera piena di riferimenti anche culturali (più che pormi domande io ho osservato" almeno alla prima visone che mi sono concesso. La tua rimane a mio avviso una lettura molto affascinante che (per quel che mi riguarda) è uno stimolo (ma anche un invito) ad approfondire ulteriormente questa importante opera tenendo conto proprio di ciò che ha suscitato nel tuo pensiero, e quindi provando a riscoprire tutto quel mondo "letterario" che tu hai evocato
Ciao, hai detto molto bene Antonella, su uno dei film che più ho amato quest'anno.
Rivisto ieri sera assieme agli amici Kurtisonic e Pippus (io e K. entusiasti, P. un bel po' meno ;-) è certo un film non per tutti i palati, ma la cui visione è certo assolutamente consigliata visto i tantissimi spunti di riflessione che offre e come "ti lascia" a fine visione ed oltre e per la prova attoriale di un Colin Farrell superlativo.
Uscito in 50 copie due settimane fa, qui a Torino l'unica sala che lo da mi han detto che da loro, per il particolare film che è, sta andando benissimo (ieri allo spettacolo pre serale in sala credo saremo stati almeno una cinquantina) e spero domani non lo smontino ma lavori ancora bene, un film del genere credo lo strameriti davvero. ;-)
mi fa piacere che vi sia piaciuto. Colpisce e pure parecchio e di sicuro non mette tutti d'accordo, ma è comunque da vedere.
a Torino si è più addentrati, più aperti ad uno sguardo poco convenzionale, qui, miracolo, è ancora in programmazione (devo dire anche per merito del distributore proprietario del cinema che ha sempre associato al film per le masse pellicole poco visibili, infatti ho potuto vedere film come Doom Generation o un ancora sconosciuto Todd Solondz o i primi Von Trier), sempre nella sala piccola e non per tutti i 4 spettacoli, vabbé....
credo che possa andare avanti col passaparola, pratica che ogni volta ritengo efficace e vincente. Certo 50 copie è pochino, considerando che il regista è già ampiamente conosciuto, anche solo di nome, da una grossa fetta di pubblico cinefilo. Ghezzi, poi, con Fuori orario non può che aiutare la sacrosanta divulgazione.
Grazie e a presto :)
Giorni fa Valdemar mi disse che proprio su Rai3 lunedì passava Kinetta, uno dei primi film di Lanthimos (sia lode a Ghezzi ;-), solo che poi, e te pareva, ho scordato di vederlo o registrarlo. Gregorio però mi diceva che per una settimana si può trovare in streaming ufficiale gratuito sul sito della Rai.
Grazie di cuore ai gestori di sale come quello di cui ci racconti, che vanno controcorrente e spesso rinunciando a più lauti guadagni pur di proporre un tipo di cinema meno omologato e forse più ostico, ma certo interessante.
Io è proprio grazie al mio piccolo cinema/teatro di quartiere con le sue vecchie sedie scomode da "cinema di una volta" che ho potuto recuperare titoli come Kynodontas (che diedero l'anno scorso) ed altri che sennò non avrei mai visto su grande schermo. Ciao! ;-)
:)))
@amandagriss. Scusa ma solo oggi mi sono accorta che avevi fatto questa recensione,e rimedio in ritardo perchè non si può non leggerti, almeno per me così. il film non l'ho visto per problem e mancanza di tempo e non so se riuscirò a recuperarlo. la tua recensione , ricca di riflessioni, poco informativa spinge a vederlo...Speriamo!
Spero tu possa vederlo, non puoi perdertelo, può non piacere ma è sicuramente interessante, sono curiosa di conoscere il tuo giudizio. Ci vediamo su queste pagine, grazie e ciao!
Ciao @amandagriss, ho visto The Lobster questa sera e devo dire che ho apprezzato alcune cose mentre altre mi hanno lasciato davvero perplesso. Devo rimettere un po' insieme alcune idee che non riesco ad esprimere senza lasciarmi andare allo "spoiler". Comunque colgo l'occasione per elogiare la tua ineccepibile recensione pur avendo mentalmente assegnato al film una valutazione più intermedia.
certo, lasciar decantare è sempre un'ottima cosa, così si metabolizza quello che si è visto, specie quando si resta spiazzati e/o perplessi, così i penseri si delineano pure meglio. Aspetterò un tuo giudizio compiuto allora, se vorrai; io ho voluto soffermarmi sugli aspetti che più mi hanno colpito, anche se devo dire che nella seconda parte il film si sfilaccia un pochino, forse una maggiore asciutezza avrebbe giovato ancor di più, resta il fatto che la ritengo una delle opere più audaci dell'ultimo anno almeno,
grazie per essere passato di qui e ciao :)
Rieccomi @amandagriss, otto giorni dopo la visione del film, sempre in preda agli stessi interrogativi. Premetto un ALLERTA SPOILER per inibire alla lettura del mio commento chi ancora non avesse visto il film (non si sa mai). Ci tengo a farti sapere le mie impressioni. Amo la distopia, specialmente se originale e devo dire che The Lobster è piuttosto unico nel genere. Tuttavia alcune scelte non mi hanno pienamente convinto. Vabbè che nel mondo parallelo dove si colloca il film l'amore conta meno delle caratteristiche fisiche (epistassi per epistassi, bleso per bleso, miope per miope) e l'affinità reciproca è l'unico collante (idea a dir poco stupenda), pur vigendo il divieto di "solitudine", ma l'intreccio l'ho trovato perlopiù piatto, statico e reo di un accanimento alla crudeltà che francamente mi ha perplesso (alcune persone, alla spicciolata, hanno abbandonato la sala). Il sangue scorre a fiumi, che sia dal naso di una dolce ragazza, dalla carcassa di un innocente cane/fratello e dal piede carnefice della sua gelida assassina, da conigli sgozzati (straziati con percezione di un insensato cannibalismo) o da una single disperata sul cui corpo riverso al suolo e reso asimmetrico da un volo suicida, la telecamera infierisce con l'inquadratura per durata seconda solo all'attesa, nel bar, dell'accecamento finale. Mi domando, ce n'era bisogno? Mi è tornata in mente la freddezza, il gelo di Amanda Plummer in Butterfly Kiss (chissà perché?). Certo, un po' di forte impatto era necessario a far toccar con mano il granitico cuore della donna di ghiaccio (che tra urla strazianti e soffocanti richieste d'aiuto sorseggia impassibile il suo Martini) ma mi è parso tutto al di sopra del necessario. Ho trovato meravigliosa la sequenza con la quale la donna di ghiaccio (captando un gemito di David durante l'atto sessuale) ne individua l'umanità e con il primo piano su di lei scrutante, Lanthymos si supera. Però poi anche il bosco, come in un racconto di Bradbury, si rivela distopico (il "bacio rosso" per gli innamorati) e la sua "gustizia" colpisce più le vittime di flirt o contatti intimi che (nelle sue spedizioni punitive all'hotel) i despoti. Troppe sequenze, a mio parere, non si limitano a rasentare il grottesco ma sconfinano nel ridicolo. Un esempio: grottesca è la scena in cui si stimola l'ipofisi maschile (sarei curioso di vedere come si agiva sulle donne) con lo strofinamento, ma ridicolo (forse la sequenza meno curata dell'intero film) lo slow-motion della ribellione di Rachel Weisz che cieca e con un coltellino davvero misero, riesce a "far danni". Ho apprezzato il finale che supporta la tesi dell'uguaglianza a prescindere dai sentimenti (cieco-miope non è sufficiente) e sono d'accordo su quel che scrivi in risposta ad un commento alla recensione "un film che non mette d'accordo tutti e per questo merita di esser visto". Purtroppo mi trovo nel limbo della perplessità e nonostante i pro e i contro di questa visione, trovo The Lobster la bell'idea di una trama che si srotola e rivela dettagli utili alla comprensione un poco alla volta. Lo smarrimento iniziale si sostituisce ad una piacevole consapevolezza alla quale però segue una fase di stallo pesantina, alcune "strade" senza uscita e un'impennata finale che mi ha lasciato più rimpianti che soddisfazione. Non so se questo possa essere sufficiente per definire il lavoro di Lanthymos un buon film. Ti rendo quindi partecipe del mio disorientamento, pur condividendo in gran parte ciò che hai scritto, ma di stellette ne assegnerò 2 e 1/2. Manca qualcosa? Ah già, la vibrazione degli archi. Indimenticabile.
Pietoso, indecente, assurdo
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