Regia di J.C. Chandor vedi scheda film
Come reagirà quindi l’imprenditore emergente in quell’ambiente di lupi? Lui che ha fatto una bandiera della sua vita la correttezza fiscale e amministrativa? È questa l’indagine anche psicologica che interessa al regista, che con stile personale ci ricorda il filone dei migliori crime-movie metropolitani dei registi storici.
Tra gli anni più violenti della storia criminale di NY ci fu appunto il 1981 e lo dicono le statistiche dei delitti, delle rapine e quant’altro compiuti in quell’anno. E così il regista J.C. Chandor ha scelto questa ambientazione per raccontare una storia noir, di corruzione e crisi sociale, dopo averci raccontato la crisi finanziaria con il riuscito e interessante Margin Call. Qui il protagonista è un ex camionista che sposa la figlia di un boss e traffica in compravendita di gasolio tra Messico e Stati Uniti cercando di rimanere più o meno nel tracciato legale ben sapendo che è un mestiere difficile praticarlo in un ambiente tutt’altro che corretto, anche perché quasi tutti i giorni i suoi camion vengono assaliti e svuotati.
Chandor prende tutto il tempo necessario, senza dare fretta alla trama, così come è successo con entrambi i suoi film precedenti. Infatti come nel lungometraggio su menzionato, anche in All Is Lost - Tutto è perduto il ritmo non è elevato ed è anzi parecchio ragionato, come d’altronde è il carattere del protagonista Abel (un ottimo Oscar Isaac, sempre elegante e con un costante cappotto cammello, malamente doppiato però). Ma l’azione arriva, prepotente, non lunga ma arriva, con un inseguimento degno dei migliori thriller americani, e proprio quando finalmente il mistero pare possa districarsi. Insomma a J.C. Chandor piace descrivere le crisi e come gli individui reagiscono alle stesse e qui lo fa bene, servendoci un film che ha portato alla coprotagonista Jessica Chastain una nomination ai Golden, perfettamente calatasi nel ruolo grintoso di discendente malavitosa.
La New York che vediamo non è quella solita sfavillante che godiamo nei film americani che ben conosciamo, con i suoi quartieri eleganti e pieni di negozi illuminati, ma una città periferica e malridotta, con treni lerci e gente da cui guardarsi, in una stagione invernale livida, nevosa e nervosa. Il tutto fotografata benissimo da Bradford Young con colori esaltati che ricordano gli anni ’80. anche la musica è stata scelta con molto gusto e appropriatamente incalzante.
Come reagirà quindi l’imprenditore emergente in quell’ambiente di lupi? Lui che ha fatto una bandiera della sua vita la correttezza fiscale e amministrativa? Lui che se pur giovane tratta i dipendenti come figli? Che odia l’uso delle armi anche per motivi di difesa personale? È questa l’indagine anche psicologica che interessa al regista, che con stile personale ci ricorda il filone dei migliori e micidiali crime-movie metropolitani dei registi storici, a partire da Sidney Lumet. Due nei, però: il doppiaggio (vedetelo in V.O.S., please!) di Oscar Isaac, che è particolarmente bravo in questo film, con una recitazione pacata a tratti addirittura anche troppo, nonostante il precipitare della situazione e il colpevole titolo italiano, perché quello originale è molto più esplicativo, essendo davvero il 1981 un anno molto molto violento.
Il regista si rivela quindi uno dei cineasti più interessanti degli ultimi anni, da seguire sempre più.
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