Regia di Stephen Frears vedi scheda film
Negli ultimi dieci anni, il talento di Stephen Frears si è sgrovigliato in almeno due filoni/generi: accanto alla commedia, il biopic ha assunto un ruolo abbastanza determinante nel suo definitivo consolidamento nel cinema d’autore con una dimensione anche commerciale. Se Lady Henderson presenta rappresenta una saporita contaminazione delle due inclinazioni, The Queen e Philomena, pur raccontando due vicende drammatiche, non dimenticano la tendenza brillante del regista. Ora, The Program, che mette in scena ascesa e caduta di Lance Armstrong, sette volte vincitore dopato del Tour de France, ha tre grossi problemi. Uno: un punto di vista che pare ricalcare quello di una inchiesta giornalistica senza il carisma che si pretenderebbe da una trasposizione fiction. Due: l’assoluta mancanza di ironia nel ritratto nemmeno inquietante di un imprenditore di se stesso tra la mitomania e il delirio di onnipotenza, a cui Ben Forster offre un’interpretazione mimetica (al suo fianco, uno stuolo di macchiette).
Tre: la mancanza di una visione problematica (perché il bravo Frears si limita a qualche sguardo diagonale senza andare al di là dell’illustrazione della sceneggiatura?), di uno sviluppo convincente di almeno uno dei temi in ballo (perché non incidere sull’ambiguità e sulla consapevolezza di Armstrong del suo essere “icona” favorendo invece la facilissima strada di un’opportunistica ambizione?), di una reale ragione d’esistere (perché sprecare così sciattamente la possibilità di mettere in scena un grande racconto sulla frode per il potere e sulla brama di potere in quanto potere?). Sperando che Frears, qui purtroppo così affannato, torni ai suoi consueti buonissimi livelli, ci si chiede comunque cosa sarebbe potuto essere un film del genere nelle mani di Bennett Miller, il più grande autore di cinema biografico in circolazione.
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