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Carmina y amén

Regia di Paco León vedi scheda film

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La recensione su Carmina y amén

di alan smithee
7 stelle

Carmina è una donna pratica, che riesce a trovare la freddezza di agire per il bene della sua famiglia anche di fronte alla drammaticità più cruda di ciò che le si presenta dinanzi. Secondo film di un dittico dedicato ad un personaggio tosto e a suo modo esilarante. Da Paco Leòn di Kiki, regista in forte ascesa.

Secondo di un dittico (il primo Carmina o revienta, è del 2012) dedicato alla figura forte, estrosa, bizzarra, corpulenta ma anche in fondo molto umana di Carmina, moglie e madre di famiglia costretta ad arrangiarsi con mezzi estremi per ottenere ciò che la giustizia non sarebbe in grado di assicurargli, Carmina y amen vede la situazione familiare precipitare quando, al ritorno a casa del marito, stanco e dolorante, oltre che obeso e alcolizzato, Carmina se lo ritrova improvvisamente morto sul sofà dio casa.

In preda al panico, mantiene la lucidità che manca invece alla figlia estetista, per decidere di denunciarne la morte solo il lunedì successivo, in modo da vedersi riconosciuta al defunto tutta la paga che gli spetta.

Essendo venerdì, le due donne architettano una strategia tra il comico ed il grottesco, districandosi lungo tutta una serie di vicende che hanno come teatro di sottofondo i quartieri popolari di Siviglia.

Paco Leòn, cineasta molto celebrato in patria e da noi noto soprattutto grazie all’ultimo disinibito e malizioso Kiki & i segreti del sesso, ha fatto bene a tornare su un personaggio davvero cinematografico come Carmina: una massaia che ci fa scoprire il lato ironico-pulp della normalità quotidiana, come suggerisce anche l’irresistibile breve accompagnamento musicale che ci presenta la protagonista poco prima del titolo.

Nessuno tranne carmina ha la personalità e la capacità per superare le difficoltà e gli imprevisti quotidiani che invece affliggono la sua famiglia: un marito debosciato ed inconcludente, una figlia che ce la mette tutta, ma viene presto sopraffatta dagli eventi che non saprebbe affrontare senza la tenacia materna. Un figlio manesco e incapace di autogovernarsi, una serie di vicino che sopravvivono afflitti ognuno dalle proprie piccole, grandi tragedie personali.

Leòn è abile, brioso e accattivante - lo ha appena dimostrato con Kiki - a raccontarci e caratterizzarci personaggi bizzarri e concreti, che sanno destreggiarsi e sopravvivere a difficoltà apparentemente insormontabili: il regista sa tratteggiare storie e situazioni che nascondono drammi veri e spesso senza uscita, con il disincanto e l’ironia, l’irruenza naturale e l’improvvida frenesia di chi poi riesce comunque, finché le risorse materialmente lo assistono, a far girare dalla sua parte il beneficio di un evento a tutti gli effetti nefasto nelle sue principali conseguenze.

L’opulenta Carmina Barrios dimostra già dal nome di interpretare molto di se stessa, e ciò che la sua fisicità esagerata e abbondante, suggerisce già solo alla prima occhiata: una Perdita Durango dei quartieri reali, della dannata, scellerata vita di tutti i giorni, quella che necessita di praticità e dimestichezza per poter essere afferrata per le briglie e cavalcata senza lasciarsi trascinare. Assieme alla scena pulp dell’inizio, quella in cui viene trasportata in modo dal figlio e perdendo la camicia, rimane in gonna corta e reggiseno, venendo appellata da un guidatore come Lady Gaga, merita l’applauso, e ci restituisce un personaggio che trasuda l'amore che il regista prova verso di lui e che ricorda, seppur da lontano, ma in modo convinto ed in quanto ossessione, più che altro per l'affetto e l'attenzione di cui diviene epicentro da parte del cineasta, certi giunonici personaggi felliniani.

Ma Carmina non cerca mai la risata facile e liberatoria, perché riesce in ogni momento a ricordare allo spettatore che si sta parlando di morte, o di tenacia a sopravvivere ad un richiamo della fine ormai imminente.

Affastellato di personaggi sin troppo invadenti o fuorvianti (i vicini di casa in particolare, necessari certo, ma anche troppo “invasivi”, nella storia e nel contesto della narrazione), questo Carmina tergiversa eccessivamente in un finale troppo lungo e scoordinato, prima di trovare il suo corretto, drammatico ma anche tenero ed umanissimo epilogo, quando ormai tutte le verità verranno svelate e l’utilità del passa parola tra coinquilini si dimostrerà a tutti gli effetti una valida terapia contro l’ineluttabilità di un futuro ormai giunto a scadere.

E comunque una cosa la impariamo di sicuro da Carmina, giusta o sbagliata che sia: prima di affrontare una qualsiasi situazione, per drammatica od eccezionale che sia, lei ci fuma sopra... poi agisce.

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