Regia di Leonardo Guerra Seràgnoli vedi scheda film
Naomi è una madre: lo dice la biologia, lo dicono gli occhi a mandorla del piccolo Kenzaburo, uguali ai suoi. A dire il contrario è la legge, che l’ha privata definitivamente della custodia di suo figlio: la barca su cui alloggia è un mondo a parte, sospeso sul limbo tra incontro e separazione. Una parentesi concessa dal padre americano del bimbo, invisibile e innominabile, che offre a Naomi e Ken l’imbarcazione, uno staff impeccabile e quattro giorni di tempo: tanto resta alla donna per compiere un’impresa impossibile, quella di riconquistare la fiducia del bambino e, simultaneamente, prepararlo alla sua scomparsa (almeno fino alla maggiore età di Ken). Un legame viscerale che la distanza ha messo alla prova, e che riaffiora faticosamente, nell’acqua del mare che si fa liquido amniotico, a riunirli per un definitivo e innaturale taglio del cordone ombelicale. Esordiente nel lungo, il regista usufruisce di maestranze di lusso: costumi e scenografie, ricercatamente minimali, sono firmati da Milena Canonero, le cui geometrie spigolose (negli abiti di Naomi come nelle superfici lisce della barca) parlano per (e più dei) protagonisti: abitato dai silenzi sceneggiati in complicità con Banana Yoshimoto e Igort, sorretto dall’intensità imbronciata di Rinko Kikuchi, Last Summer è più ambizioso che riuscito. Un ritratto di donna anomalo e pudico il giusto, che non pretende di spiegare e non specula sulle colpe della madre, ma spesso resta a pelo d’acqua.
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