Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Abel Ferrara non rientra tra le mie preferenze cinematografiche, però qualche merito gli deve essere riconosciuto, se non altro per qualche opera di notevole spessore, da Il cattivo tenente a Fratelli. Con Pasolini tenta l'incursione nel paese dei suoi avi e nel mondo, non solo intellettuale, di quella che probabilmente resta la coscienza critica più importante dell'Italia del ventennio che va dal 1955 al 1975. Senza farla troppo lunga sul poeta friulano, di cui ormai tutti o quasi si sono appropriati, dagli intellettuali radical chic ai centri sociali dell'estrema destra, passando per la Chiesa cattolica, mi sembra di poter dire che ognuno, come per la quercia caduta del Pascoli, prende e porta a casa il rametto che più gli fa comodo, omettendo di prendere in considerazione le altre fronde, il tronco e le radici pasoliniani. L'ottimo copione di Maurizio Braucci, sebbene alquanto reticente sulle ragioni dell'omicidio, mette in evidenza le numerose sfaccettature e le contraddizioni nell'opera e nella vita dell'artista, uno di quelli per cui la distinzione tra questi due aspetti è meno agevole. Purtroppo l'opera di Ferrara, per cercare la sintesi sulle ultime ore di vita di Pasolini, affastella ed elide al tempo stesso, risultandone un film breve (cosa che di per sé non sarebbe neanche un difetto) che appiattisce la figura dell'artista e tenta di concentrare l'essenza della sua vita in quelle poche ore. L'impressione è che il Pasolini di Ferrara sia nient'altro che un bignami sull'artista; non che io voglia criticare l'importanza dei famosi bignamini (che peraltro non ho mai utilizzato), ma di certo non si può dire che il bignami sui Promessi sposi abbia lo stesso valore artistico dei Promessi sposi in persona.
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