Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Quando ti chiami Pier Paolo Paolini e hai la testa piena di idee rivoluzionarie e contro politiche e il tuo corpo privo di vita viene trovato su una spiaggia in uno dei delitti ancora oggi avvolto dal mistero, diventa più che normale che vengano scritti libri e girati film sulla vicenda non è invece normale che Abel Ferrara si prenda una “confidenza” tale da far prevalere la musica e l’illusione della poetica delle sue idee che qui risulta disturbata e non comprensibile a pieno. Ciò che rendeva, oggi più di ieri, Pasolini un personaggio amato, era il suo non divismo che qui è solo accennato ma viene poi celato dalla smania di Ferrara che per il suo modo di fare cinema estremo o, meglio, senza limiti, estroverso. Sarà che l’aura di grandezza che avvolge Pasolini è talmente spessa da risultare impenetrabile e nemmeno la bravura di Willem Dafoe, doppiato in modo assurdo, riesce a salvare dal baratro quest’ultima opera del regista newyorkese. Facile riconoscere alcuni tratti tipici dei suoi film: c’è la violenza, la redenzione ma soprattutto una Roma notturna che domina sulla meno presente vivacità della luce e tutto sembra angusto, tanto che lo spettatore si sente quasi fuori luogo in un racconto troppo introspettivo per una figura artistica che lo era già abbastanza. Concentrare poi l’intera durata della pellicola sulle ultime ore di vita del poeta è stata forse la scelta più insensata, vista la non conoscenza degli estremi fatti e poi ridurre un’esistenza intensa dalla fine tragica che lo ha reso immortale ha palesato ancor più la grandezza di un regista si estroverso ma rispettoso come Abel non ha saputo essere, vedi la musica che suona estenuante alla fine e copre il dolore arrivando fino al totale buio finale.
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