Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Quello che Pieruti aveva ancora da dire. Quello che è rimasto vero, nonostante tutto, e a dispetto del passare del tempo. Il racconto di Abel Ferrara inizia nel momento in cui credevamo fosse tutto finito, tutto già noto, pronto ad essere depositato nell’archivio della memoria dolorosa e del rancore, e forse del mistero che apparentemente non dà pace, eppure presto si dimentica. La frase bruscamente interrotta genera una parentesi aperta, che bisogna cercare di riempire con qualcosa di diverso dai soliti punti di sospensione. È così che l’incompiuto diventa un’ipotesi poetica, una visione utopica che, col senno di poi, si rivela laconica custode della chiave del futuro. La Terra vista dalla Luna: il titolo del famoso episodio di Le streghe non viene mani esplicitamente citato, eppure è presente, fra le righe, a dettare la prospettiva dalla quale bisogna guardare a quella strana notte del cosmo, in cui un corpo privo di luce propria riesce a brillare come una stella. Sole, Pasolini avrebbe voluto che questo fosse l’effetto di ciò che Furio Colombo, intervistandolo, aveva definito il suo pensiero magico: una stella capace di farsi strada attraverso il buio di un mondo minacciato di sprofondare nell’inferno di una voracità cieca, in cui chi non mangia uccide per la fame, e chi mangia uccide per mangiare di più. Quella tragica serata trascorsa sul litorale romano ha seminato, nell’aria, una polvere che, da minaccia di delirio, nel frattempo si è trasformata in una concreta follia: il cinismo disumanizzante della globalizzazione che, tra l’altro, ha cercato di assimilare quella morte ad infinite altre della stessa categoria, tutte politicamente inevitabili, tutte fatalmente necessarie. Questo film si impegna a fare stingere quello sbrigativo convenzionale timbro di ineluttabilità applicato alla fine di un poeta, un saggio, un sognatore, per far emergere, dal fondo del foglio imbrattato di luoghi comuni, la vibrante istantanea di una realtà che stava appartata, in un angolo del cielo, in attesa di scendere tra gli uomini e farsi voce potente. La rivelazione mancata, rimasta inascoltata perché troppo criptica, perché in anticipo sui tempi, si palesa qui, a posteriori, come una parabola dalla forma perfettamente aderente ai canoni evangelici: una fiaba dai toni quasi infantili, che spiega la vita parlando di cose (ancora) inesistenti, che viene disprezzata dai più, e che finisce calpestata dalla tumultuosa volgarità della violenza. La figura di Pasolini risulta qui genialmente inquadrata nella cornice di un messianismo laico, che compie la sua missione nella concitazione degli ultimi giorni, tra le inquietudini sussurrate all’interno della stretta cerchia degli intimi, ed i clamori sollevati dalla folla. In quei momenti decisivi viene annunciato, un po’ in segreto, ciò che non può esser capito, e che è di là da venire. Non è una debolezza narrativa l’atteggiamento di chi, ritornando a quegli eventi, sembra volerli rivivere con occhio distratto, sorvolando sui dettagli della cronaca, sulla contestualizzazione sociale, sui punti oscuri della vicenda processuale. Guardare altrove, in questo caso, significa, al contrario, cercare di restituire per intero il senso di un divagare profetico: un linguaggio che fonda la propria dignità proprio sul suo mantenersi alieno al codice convenzionale della normalità, per farsi diretto interlocutore della concretezza, quella scandalosa perché nuda, e inenarrabile perché privata, per legge, delle parole adatte a descriverla. Ciò che, per esigenza morale, va detto, coincide immancabilmente con ciò che non si vuole sentire. Questo film si dedica, con lirica e deferente passione esegetica, a trarre, dal confuso mormorio mentale che accompagna la nascita delle opere d’arte, il soffio di qualcosa che allora, in incognito, era già cresciuto, diventato molto più che un’idea, molto più che una pagina di diario scarabocchiata a metà.
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