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Pasolini

Regia di Abel Ferrara vedi scheda film

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La recensione su Pasolini

di ed wood
2 stelle

Difficilmente l’aggettivo “maldestro” troverebbe una collocazione più adeguata se non a fianco dell’ultima fatica (per lo spettatore) di Abel Ferrara. Tutto mi sarei aspettato da questo film tranne che doverlo definire “scult”. Davvero non si comprende dove l’illustre autore italo-americano (che in passato ha certamente offerto un contributo importante al cinema contemporaneo, con almeno 2 o 3 titoli fondamentali) volesse andare a parare con questo inconcepibile, indifendibile pastrugno. Qualcuno parla di opera visionaria, di libero poema a partire dalla figura di PPP, di interpretazione personale eccetera. Ma forse si farebbe prima a definire le cose per quello che sono: semplicemente, Ferrara non ci ha capito niente. A giudicare da questo film, non ha capito niente di Pasolini, niente delle sue idee, niente della società in cui la vita e le opere del poeta si collocavano problematicamente, e pare avere le idee parecchio confuse anche sulla propria personale poetica (che dalla lucidità delle sue opere maggiori, passando attraverso il mix mediatico ed immaginifico dell’ottimo “4.44 Last Day On Heart”, si riduce ora ad un patetico brancolare in un caos che è tutto tranne che fertile). Il nocciolo della poetica e dell’estetica di PPP viene trattato in modo alquanto sfocato e superficiale, accatastando stereotipi e semplificazioni sul Belpaese (una per tutte: la facile e schematica rappresentazione visiva degli intrighi di Potere nei salotti buoni della politica italiana dell’epoca) e annacquandoli in un abuso di sovraimpressioni, momenti patinati, improponibili scelte musicali e colpi bassi come il finale improvvisamente lirico-tragico (dopo che il film aveva seguito una scombinata e pretestuosa staffetta fra il tono asettico meta-testuale delle interviste e delle opere incompiute, sprazzi di commedia romanesca, giù fino al trash dell’orgia fra gay e lesbiche!). Non basta certo il concetto, ribadito diverse volte nel film, del “rapporto fra l’autore di un romanzo e la sua forma” a giustificare una tale insipienza stilistica, un’estetica che caracolla fastidiosamente fra estremi inconciliabili: non si tratta di quello stridore spiazzante ma stimolante di un Ozon o del miglior Trier (per fare un paio di esempi), ma semplicemente di mancanza di ispirazione, assenza cronica di una ratio, incapacità di ancorare un discorso (complesso, sfaccettato, per carità!) attorno a 2 o 3 linee guida. Da 15 anni oramai, come riflesso della “crisi delle storie” (e degli sceneggiatori), abbondano biopic o film ispirati a persone reali e famose (quindi già, in qualche modo, “mediatizzate”): talvolta i risultati sono sorprendentemente vitali, altrove (come in questo caso) emerge tutta l’arroganza e la presunzione del progetto. A contribuire al naufragio, c’è un utilizzo dissennato, puramente aleatorio della mescolanza linguistica (l’inglese sottotitolato e l’italiano con l’accento anglosassone…ma perché?!); per non parlare della povera Laura Betti, ridotta ad odiosa radical-chic, o del povero Ninetto Davoli (personaggio, non attore), ridotto a bamboccione borgataro. Non si dica, per favore, che l’intenzione di Ferrara fosse quella di prescindere del tutto dall’attendibilità storica, perché, se così fosse, chi glielo ha fatto fare di inserire così tanti riferimenti specifici (Levi, Jancso etc…)? Di fatto, questo film fallisce sia come film su Pasolini, sia come film su Ferrara. Le due digressioni volte a dare vita ed immagine alle opere incompiute di PPP confermano questa crisi di ispirazione, questa difficoltà del regista ad adottare e plasmare un linguaggio potente. “Petrolio” è un episodio scialbo, che si salva in parte nella sequenza in cui Carlo vede dei neri nel deserto africano e si rispecchia in loro. “Porno-Teo-Kolossal” è invece involontariamente becero e deprimente per come mortifica l’idea (complessa, ambigua, problematica) che PPP aveva riguardo al sesso. Per lui il sesso era strumento di liberazione dalla frustrazione familiare e borghese (“Teorema”), manifestazione di innocenti e genuini istinti vitali in un contesto arcaico e mitologico (“Trilogia della vita”), mezzo di oppressione fascista dei più forti sui più deboli (“Salò”): dubito che Pasolini avrebbe messo in scena una sequenza così ridicola come quella che Ferrara ha girato sull’orgia (sembra una parodia di Russ Meyer!!!). Il povero Dafoe potrà dire ai nipotini di aver interpretato Pasolini, ma anche di aver contribuito a fraintenderlo ed umiliarlo. Ci fosse stata almeno una sorta di Passione laica, nella parte finale, girata come Dio comanda, si sarebbe potuto definire “Pasolini” un film, almeno in minima parte, fedele ai precetti ferrariani di inferno in terra e di disperata, impossibile redenzione. Neanche questo. Povero Ferrara. Povero PPP.  

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