Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
C’é tanto amore e poca rabbia, nel Pasolini di Abel Ferrara, presentato in Concorso alla 71ma Mostra del Cinema di Venezia. Niente altro che le ultime ore di vita dell’intellettuale (a tutto tondo) italiano. Fra cronaca, sogni, inquietudini, scritture e film in lavorazione, il regista americano ha raccontato la giornata particolare di Pier Paolo Pasolini, non alludendo ad alcun contesto politico, storico si, come in molti ci si aspettava. Perché, in fondo, lo ha sostenuto anche in conferenza stampa: “Non c’é mistero nella morte di Pasolini”.
L’unico mistero é nella sua arte, quella che ha lasciato ad un popolo di santi, poeti e musici, come più volte si legge, attraverso le bellissime inquadrature, come fossero veri e propri quadri d’arte contemporanea, durante la visione del film. Dal diritto allo scandalo, di contro al moralismo ancora imperante, all’utilizzo del pensiero magico, il racconto di Ferrara é tutto incentrato sui tormenti di un uomo che sembra rassegnato, che va incontro ad una morte già scritta, in un paese sordo, ancora oggi al grido, questo si, politico, di quell’uomo che il 2 novembre 1975 ha lasciato orfani tanti.
Rispetto al lavoro di Ferrara, forse, ci si aspettava un racconto che rendesse meglio l’idea delle lotte politiche del tempo e della sua stessa partecipazione a quel pensiero anticonformista, di cui oggi rimane ben poco. Solo rimpianto.
Ottima l’interpretazione di Willem Dafoe, sebbene rimanga inspiegabile perché in alcuni momenti parli in italiano e in altri in inglese (questo nella versione non doppiata vista a Venezia. Si spera la stessa in sala da giorni). Simpatica la partecipazione di Ninetto Davoli nelle vesti di Eduardo De Filippo e Riccardo Scamarcio in quelle del compagno di tante avventure di Pier Paolo Pasolini, Ninetto Davoli. Questi creano un vero e proprio cortocircuito rispetto a quei due grandi attori che avrebbero dovuto interpretare Epifanio e Nunzio, in quel misterioso e grandioso film, viste le premesse, che Pasolini non realizzò mai, Porno-Teo-Kolossal, e che avrebbe continuato a raccontarci di quel mondo rintracciabile solo nella grandi favole, così descritto dallo stesso Pasolini: “Io conosco nel passato un mondo meraviglioso in cui tutti sono buoni, allegri, generosi. Oggi il mondo é orrendo, ma io so tuffarmi nel passato, io so farlo rivivere, seguitemi e lo rivivrete anche voi perché io vi immergerò in quel mondo di favola che esiste ancora, dato che io ci credo fermamente; esiste in me, e se voi mi seguite esisterà anche in voi“.
Come il romanzo incompiuto di Pasolini, “Petrolio”, anche il film di Ferrara é un film volutamente incompiuto, perché sembra che nulla accada, essendo tutto affidato al fisico, alla carnalità dei corpi e alla spigolosità dei trattai di Dafoe, a quel che, invece, tutto ciò continuamente fanno accadere, rendendo, a giusta ragione, il mistero a cui ci ha continuamente abbandonato, non solo il corpo esangue di un intellettuale che sembra ancora giacere su un campo da calcio, ma la lucidità di un intellettuale onesto. In questo paese, come Pier Paolo Pasolini, abbandonato in un campo da calcio. Dove non cresce più erba.
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