Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
"Scandalizzare è un diritto. Essere scandalizzati è un piacere". Un po' una frase ad effetto, da mettere ad hoc nella copertina della nuova impresa di Abel Ferrara. Un po' un piccolo appiglio dal punto di vista tematico, una grande semplificazione del complesso teorema che è questo esperimento Pasolini. Piacerà a tutti definirlo un film innanzitutto di Ferrara, relativamente lontano dal vero Pasolini: la realtà è che più che rincorrere la somiglianza alla realtà, Pasolini cerca di riproporre le problematiche pasoliniane ricordando la loro attualità e smuovendole da quell'oblio in cui hanno rischiato di sprofondare. Un film, quello di Ferrara, che sembrerebbe di stampo classico, se non fosse diretto da un vero autore come il regista italoamericano, in grado di creare un suo stile senza vezzi né stratagemmi né furbizie di vario genere. Il suo film (come i suoi ultimi film, riusciti o meno) spira sincerità da tutti i pori, non offre alcun tipo di consolazione, getta l'essere umano in una desolazione esistenziale tipicamente ferrariana e offre una nuova occhiata al grande regista italiano (che però amava registrarsi e presentarsi come "scrittore", ché il Cinema per lui, ricordiamolo, era un'estensione popolare della letteratura). C'era bisogno di questa nuova "occhiata"? Sì, necessariamente.
Non è facile raccontare e ridurre a parole il lavoro immenso di Ferrara. In questo film non c'è semplice arida filologia, o scandalo premeditato fine a se stesso. Non ci sono luoghi comuni, non ci sono scelte stilistiche inappropriate. Non trionfa un prevedibile senso di fastidiosa nostalgia. Non si sfiora mai il ridicolo, non si sente niente fuori posto. Non ci sono ovvie impennate stilistiche che possano costituire scene madri facili a riconoscersi per lo spettatore. Non ci sono appigli. Non ci sono balorde sperimentazioni che permettano a Ferrara di mostrarsi come un "autore": non c'è autoreferenzialità, non c'è mancanza di rispetto per una figura del calibro di Pasolini, non ci sono i pericolosissimi difetti del biopic (trascorriamo una brevissima quantità di tempo, così come in 4:44 Last Day on Earth, così come in Welcome to New York). Non ci sono ammiccamenti invadenti, non ci sono pungente autorialità, spiegoni esagerati, rivelazioni che pretendono di affiancarsi alla verità storica (anzi, si dimostra che Pasolini è qui ed ora, e non è Storia, non ancora). Non ci sono tempi morti, non c'è tedio. Non ci sono disattenzioni, da parte di Ferrara e da parte dello spettatore. Non c'è consolazione. Siamo tutti in pericolo. C'è solo la triste realtà dello stare al mondo, e tutte le sovrastrutture che da sempre hanno impedito la libertà.
Cosa sarebbe rimasto a Pasolini, se tutto ciò che criticava come per magia fosse scomparso? Sarebbe rimasto tutto, lui stesso, il suo vivere, il suo vivere nel mondo, il suo lavoro, quello che avrebbe fatto anche rimanendo l'unico essere umano sulla Terra, perché gli piaceva, perché lo faceva per se stesso. Il cinema di Pasolini non era semplicemente distruttivo, era essenzialmente "pulitore", toglieva il velo di Maya dagli occhi dell'essere umano e gli ricordava cos'era veramente (fin da Welcome to New York, Ferrara fa dire ai suoi personaggi "sai qual è la verità?", sempre, in continuazione). L'arte di Pasolini era ricondurre tutto alla dimensione più sincera e vera. E farlo con quella "provocazione" che non era altro se non "realtà", da accettare, e di cui possibilmente compiacersi. Pasolini è una figura di intellettuale come quella di certi autori e registi del contemporaneo, che agli occhi di tutti vivono di provocazioni (lo stesso Ferrara potrebbe essere inserito in questa particolare etichetta). La realtà è che codesti autori, distruttivi quanto si vuole, hanno sempre un lato costruttivo, un qualcosa da dire in più rispetto allo schifo che è il mondo, e lo fanno anche se questo "in più" è una agghiacciante speculazione sul Nulla (non per essere pedanti, ma la provocazione Nymph()maniac di von Trier, in quest'ultimo anno, è stata proprio questa: l'assenza di Senso, come se in molti già non l'avessero fatto). Tutte divagazioni per dire che Pasolini inquadra perfettamente l'intellettuale in questione, e ne crea un ritratto più affascinante che fedele, sornione, relativamente sereno (perché spietatamente sincero). E questo ritratto si prende le sue felici libertà quando vuole entrare nello spazio dell'immaginario, in cui vediamo le storie che Pasolini scrisse e ideò anche per il suo nuovo progetto, Porno Teo Kolossal, sorta di incontro/scontro fra antipodi, una mezza rassegna di ciò che può offrire l'esistenza (concreta, illusoria), nell'attesa di una Fine non ancora arrivata.
Così Ferrara viaggia fra sogno e realtà con riuscitissimi giochi di dissolvenze, con uno stile elegante e languido, con una carrellata di personaggi indimenticabili (gli occhi di Adriana Asti, le movenze di Maria de Medeiros, le "pisciatine" di Ninetto Davoli, tutta roba difficile da eliminare dalla memoria), senza realizzare un film scontato, ma un film che sa tenere conto delle ragioni del regista Ferrara e delle ragioni del regista Pasolini, di cui vengono ricreate le intenzioni, le pulsioni, le volontà. Un vero e proprio testamento, splendido, avvincente (passa in un attimo, questo è certo), non banalmente lineare ma "classicamente" irregolare, attento, maturo, e abbastanza spavaldo da far capire che il carattere provocatorio del cinema di Pasolini non è ancora concluso, nonostante siano passati quasi quarant'anni. Perché quelle immagini di Salò ancora fanno terribilmente impressione, perché quella fellatio in primo piano sa scandalizzare ancora qualcuno nel 2014, perché ricordarci che siamo tutti "animali" può essere tuttora fastidioso e paradossalmente arrogante. Sarebbe bene dunque rivalutare un po' il pianeta Terra, anche a costo di salire e arrivare un po' più vicini al Paradiso, perché gran parte del Tutto sta qui, e non nell'astratta stella cometa; perché la morte di Pasolini non ha interrotto nulla (la Fine non è arrivata, il Peggio probabilmente deve ancora venire); perché il Paradiso è irraggiungibile, mentre l'Inferno è a due passi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta