Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Restano due immagini, due fotogrammi di un prologo enunciazione. Il primo, metafilmico, viene da Salò, l’opera più estrema che Pasolini potesse concepire. Il secondo, filmico, è un primo piano sul Pasolini finzionale, la cui mano si stringe attorno alle tempie, alla fronte. Alla mente. «Io scendo all’inferno, e so cose che non disturbano la pace degli altri». Chi sta parlando? Pasolini, intervistato da Furio Colombo a proposito del suo pensiero-mondo, oppure Ferrara, a proposito del proprio mondo-cinema? Da quella mente in primo piano nasce il Pasolini secondo Ferrara, crasi bizzarra, eccentrica e terminale dove va in scena l’ultimo brandello di un’esistenza cui viene sottratto il realismo del biopic.
«Tutto ciò che io vi dirò si è svolto non nel teatro della realtà, ma nel teatro della mia mente». Frammenti visivi immaginati a partire dalle pagine di Petrolio. Visualizzazioni della farsa evangelico-pornografica Porno Teo Kolossal, benedette da un Davoli che diventa Eduardo abdicando la propria identità reale a beneficio di Scamarcio. Coiti sudati e scenografie imperiali. Squallide fellatio e Maria Callas a benedirle. Escursioni astrali e penetrazioni anali. Sguardi languidi indirizzati a ragazzini e architetture senza tempo che schiacciano il punto di vista e che quegli sguardi non ricambiano, immobili nel loro paradigmatico, sociale ludibrio. Ferrara e (il suo) Pasolini, dove la morale sospende il giudizio e lascia campo all’arte pura. Sporca. Sublime. Come quel cadavere sulla spiaggia.
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