Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Scritto da Maurizio Braucci, il Pasolini di Abel Ferrara ripercorre in maniera lineare e, se vogliamo, classica le ultime 24 ore di vita di Pier Paolo Pasolini, dal momento del suo rientro da Stoccolma (dove era stato appena tradotto uno dei suoi libri) fino al tragico ritrovamento del suo cadavere all’Idroscalo.
Iniziando il racconto alle 00:30 dl 31 ottobre 1975 e terminandolo il 2 novembre, Ferrara sceglie la vie dell’immediatezza: siamo da subito catapultati al centro di un’intervista che Pasolini sta concedendo a un giornalista francese sullo sfondo delle immagini di Salò o le 120 giornate di Sodoma. Senza abbandonarsi a retorica o a ricostruzioni fantasiose, Ferrara ripesca nei ricordi e negli aneddoti di chi Pasolini lo ha realmente conosciuto (i cugini Graziella Chiarcossi e Nico Naldaldini e il caro amico e attore feticcio Ninetto Davoli), studia le carte processuali e le informazioni in possesso di coloro che sono legati alla sua violenta morte (da Pino Pelosi all’avvocato Guido Calvi ai giudici dei vari riesami) e chiede consiglio a diversi esperti dello scrittore come Walter Siti, Dacia Maraini e Virgilio Fantuzzi, realizzando in tal modo un’opera classica che senza infamia e senza lode potrebbe raccontare qualsiasi altro personaggio.
Rispettando maniacalmente quelle ultime ore di vita, Pasolini non si lascia andare a ricostruzioni interpretative ma ci mostra l’autore di Teorema impegnato con le sue ultime faccende: l’intervista a Furio Colombo per La Stampa, le lettere agli amici Carlo Levi e Alberto Moravia, la lettura in immagini e parole di uno dei capitoli di Petrolio (l’incidente aereo di cui rimane vittima Andrea Fago) e il lavoro sulla sceneggiatura di Porno Teo Kolossal.
A proposito del lavoro non realizzato da Pasolini, Ferrara si assume il rischio di girarne alcune sequenze, trasformando Ninetto Davoli in Eduardo De Filippo e Riccardo Scamarcio in Ninetto Davoli (bel gioco metacinematografico). Volutamente, piazza le sequenze nella Roma moderna, come dimostra il parco auto composto di vetture contemporanee, quasi a voler dimostrare l’attualità e la contingenza dei lavori del maestro.
Forte dell’interpretazione di Willem Dafoe (adorabile il suo italiano), Pasolini manca forse di mordente, non interpretando alcun fatto e non aggiungendo niente di nuovo a tutto ciò che già si conosce. Assenti dal film sono gli eccessi visivi a cui Ferrara negli anni ci ha abituati: a una fellatio omosessuale mostrata nelle primissime sequenze segue solo una scena di orgia ricollegabile a PTK ma tutto rientra nel limite dell’accettabile e della finta provocazione borghese. Nulla dello spirito che invece il vero Pasolini avrebbe cercato e ostentato. Nulla dei suoi pensieri filosofici. Nulla dei suoi tormenti interiori e delle sue idee politiche. Nulla che possa accendere gli animi di detrattori e di sostenitori: è come se Ferrara, temendo fischi e reazioni, si fosse contenuto e avesse voluto portare a termine il suo compitino, di certo non facile.
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