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Noi che abbiamo fatto la dolce vita

Regia di Gianfranco Mingozzi vedi scheda film

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La recensione su Noi che abbiamo fatto la dolce vita

di hallorann
8 stelle

Genesi di un capolavoro chiamato LA DOLCE VITA, titolo casuale che non aveva nessun intento moralistico o moralizzatore come ricorda il suo autore Federico Fellini. Doveva intitolarsi VIA VENETO, riprodotta fedelmente a Cinecittà. “Io non conoscevo la dolce vita…ero un piccolo borghese, ma l’ho vissuta per sei mesi sul set”, dichiara spontaneo il protagonista Marcello Mastroianni nei panni del giornalista mondano Marcello Rubini.

 

 

 

Da un’idea del compianto critico cinematografico Tullio Kezich (messa anche nero su bianco ben prima del documentario), Gianfranco Mingozzi che fu uno dei tanti assistenti alla regia di Fellini ha deciso di far rivivere la magia di quella opera omnia a chi ci ha lavorato dietro e davanti alla macchina da presa. Anitona Ekberg è l’emblema de LA DOLCE VITA, marchiata per sempre dal ruolo di Sylvia una diva che giunge a Roma, la Hollywood sul Tevere del tempo. Racconta della facilità del ruolo, del dialogo molto aperto con Federico il quale (come racconta il giornalista inglese John Francis Lane che fece una particina) per tenerla buona le diceva che il suo era un personaggio ispirato ad Ava Gardner. Era vero, però i ricami del regista erano fondamentali per giostrare il circo che metteva in piedi. In INTERVISTA si omaggerà la celeberrima scena del bagno nella fontana riproposta dietro un lenzuolo fatto apparire dal bastone magico di Mandrake-Mastroianni.

 

 

Il neologismo Paparazzo venne dato ai fotografi (dal cognome di uno di loro interpretato da Santesso), i quali erano l’occhio de LA DOLCE VITA. Essi erano un bel gruppetto, ma i principali erano quattro: Walter Santesso, Enzo Cerusico (entrambi scomparsi), Giulio Paradisi (futuro produttore pubblicitario e regista) ed Enzo Doria (in seguito produttore di pellicole d’autore). Questi ultimi due narrano vari aneddoti, l’ironia e gli sfottò del regista sul set. La scena del miracolo durò giorni e giorni, sotto la pioggia Fellini dava indicazioni a Paradisi di essere più asciutto, nell’espressione credeva lui. A Magali Noel, prima delle tre indimenticabili interpretazioni felliniane, venne rifilata una pagina di copione. Il ruolo di Fanny venne arricchito e scritto soprattutto durante le riprese. Dino De Laurentiis lasciò la mano produttiva perché contemporaneamente impegnato con LA GRANDE GUERRA di Monicelli (non solo per quello scopriremo) a Peppino Amato, vecchio produttore tuttofare sgrammaticato (“c’è una grande attesa sporadica per il film”) che venne affiancato da Angelo Rizzoli.

 

 

Per Kezich, amico fidato di Fellini, la Dolce Vita venne costruita grazie alle fotografie di Tazio Secchiaroli e alle cronache ritagliate dai settimanali dell’epoca (testimonianza ben documentata nel suo libro). Gli sceneggiatori furono Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Brunello Rondi e Fellini stesso che teneva nelle tasche della giacca i dialoghi di uno e i dialoghi di un altro, non li riuniva mai insieme e dunque riadattava o riscriveva a seconda delle esigenze. Per esempio Rondi scrisse la parte sui nobili ed era lo sceneggiatore sul campo, Flaiano le scene tragicomiche, Pinelli le parti drammatiche. Se tutti portavano idee, spunti, Pinelli era lo scrivente, tramanda sempre Kezich. In particolare la scena del suicidio di Steiner e l’omicidio dei figli venne ideata da Rondi (ispirata da fatti reali) e poi scritta da Pinelli, memore anche della tragica fine dell’amico Cesare Pavese. Questa (all’epoca discussa) scena allontanò De Laurentiis dal film e Rizzoli la attribuì non a Fellini (“con quella faccia buona”) ma al perfido umorista Flaiano. La futura moglie e costumista di Gigi Magni, Lucia Mirisola fece l’assistente costumista del grande Piero Gherardi. Le sorelle Fontana con il placet della Chiesa cucirono l’abito cardinalizio indossato dalla Ekberg.

 

 

Le attrici ricordano…Yvonne Furneaux fece l’amante isterica e passionale più grande del protagonista, sostituì la vecchia gloria del cinema tedesco e americano Luise Reiner che dopo un soggiorno romano rifiutò sdegnata la parte. Anouk Aimée: “Lavorare con Fellini era un’esperienza di vita”. Tra i tanti nomi del cast che vi parteciparono ci fu il pittore (non ancora conosciuto) Renato Mambor, prestigioso esponente del concettualismo nei panni di un ballerino nella festa a Caracalla, in cui appare Adriano Celentano cantante di rock ‘n roll. Giulio Questi, futuro regista di western e film sperimentali, è il figlio di un aristocratico romano che vive nei Castelli, a sua volta (nel film) partner di Nico, prossima musa di Andy Warhol e dei Velvet Underground. Per Questi fu un calvario per le lunghe attese e perché non gliene importava nulla del film, “eppure probabilmente verrò ricordato più per LA DOLCE VITA che per i miei lavori”.

 

 

Fellini durante la lavorazione viveva in un appartamento di via Archimede 141 dei Parioli (lo stesso della scena della festa dei bidonisti de IL BIDONE) perché Giulietta girava un film in Germania. Riccardo Garrone (dopo l’esperienza ne IL BIDONE) conosceva bene Fellini, “un serpente a sonagli che t’affascinava, un chiacchierone, un bugiardo”, interpretò la parte di Riccardo, un ricco trafficante d’armi che rientra nella sua villa a Fregene e vede un vetro rotto…“come direbbe? – chiede Fellini – “Oh sant’iddio!” – “No no, cosa direbbe veramente?” – “A figli de ‘na mignotta!” – “Ecco, pronti, motore…”. Garrone, alla luce di questo ricordo, riflette sul fatto che “l’attore non deve essere né colto né intelligente ma un imbecillone pronto a fare quello che vuole il regista”. Dominot è uno dei due travestiti nell’orgia baccanale che si svolge nel prefinale della villa sopracitata. E qui vi appaiono Jacques Sernas (il divo), Laura Betti e Umberto Orsini. Si chiude con Valeria Ciangottini, il volto più bello del film: Paola, la ragazzina simbolo dell’innocenza e della salvezza che Marcello sfiora e non coglie nel bellissimo finale sulla spiaggia e con le onde del mare come colonna sonora indelebile. Gianfranco Mingozzi (lui stesso fece un cameo nei panni di don Giulio, il prete della chiesa in cui va a suonare l’organo Steiner) per NOI CHE ABBIAMO FATTO LA DOLCE VITA organizza una carrellata di saranno famosi, aneddoti, interviste, scene, fotogrammi, le musiche di Nino Rota e il più volte citato Kezich quale testimone. Un documento curioso e assai prezioso su un capolavoro (repetita iuvant) eterno.

 

 

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