Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Nanni Moretti realizza a parer mio uno dei suoi film più riusciti raccontando una vicenda autobiografica, una storia drammatica e a tratti dolorosa, senza alzare mai la voce, senza enfasi né retorica. La madre evocata nel titolo non è neppure il personaggio principale, ma una specie di trait d’union, un punto di riferimento in una narrazione che vede coinvolti i suoi due figli, Margherita e Giovanni, la nipotina Livia e alcune figure di contorno. Margherita è un’affermata regista impegnata nelle riprese per il suo ultimo film, Giovanni è un ingegnere calmo e distaccato, sinceramente attaccato alla sorella e alla madre ormai morente. Nanni Moretti confeziona il suo personale “8 e mezzo”, mettendo molta pregiata carne al fuoco. Parla del fine vita ai giorni nostri, della sempre più lunga vecchiaia che attende la maggior parte di tutti noi. Parla di cinema, di come si fabbrica e dei continui problemi cui deve far fronte un autore. Parla anche di rapporti umani intensi e, soprattutto di se stesso. Di fatto, si sdoppia, affidando la rappresentazione della sua immagine ai due fratelli. Margherita Buy è il Moretti regista, rigoroso e dal carattere difficile, quello che tutti conosciamo attraverso il suo cinema. Giovanni rappresenta il lato più interiore e privato, mi verrebbe da dire il pensatore e il filosofo, quello che probabilmente nessuno conosce, ma per il quale propone il suo stesso volto.
Se proprio si vuol trovare un punto debole nel film, l’ho percepito nei momenti onirici vissuti da Margherita Buy, piuttosto mal collegati con il resto del racconto e che inizialmente spiazzano lo spettatore. Un neo di scarsa importanza di fronte alla magnifica prestazione di quella che considero da tempo la migliore attrice italiana in circolazione. Qui è nel contempo una figlia addolorata e impotente di fronte all’agonia della madre, una madre confrontata alle difficoltà implicite nella relazione con una figlia adolescente, una regista impegnata e stressata dalle pastoie imposte da un’industria cinematografica nazionale piena di pecche e meschinità. Quasi a voler controbilanciare un contesto drammatico e doloroso, irrompe nel racconto la figura dell’attore americano chiamato a recitare nel film in corso di lavorazione, un John Turturro decisamente in gran forma, comico e autoironico, strepitoso nel suo barcamenarsi tra lingua italiana e lingua inglese, con tanto di inutile e buffo interprete al suo fianco. Sono momenti di commedia assai brillante e ho riso molto.
Dopo pellicole molto riuscite come “La stanza del figlio” (2001) e “Habemus papam” (2011), Nanni Moretti conferma la sua crescente maturità artistica e rasenta ancora una volta il capolavoro assoluto, il film epocale che prima o poi spero realizzerà, anche se per il mio quasi coetaneo il tempo comincia a stringere.
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