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Mia madre

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Mia madre

di mm40
5 stelle

Margherita, affermata regista, è impegnata nelle caotiche riprese di un film in cui non crede lei per prima, mentre la sua vita privata va a pezzi, in primis per la malattia che sta consumando sua madre. Ma fortunatamente per lei c'è il fratello Giovanni che sa sempre cosa fare.

Nanni Moretti è diventato Alberto Sordi: e ora ce lo meritiamo così, purtroppo. Vuole bene alla mamma: e quale italiano no? Eppure il significato di Mia madre è duplice: accanto alla trama superficiale, sulla morte di un genitore e quanto di straziante ne consegue, la pellicola lancia (neppure troppo) sottotraccia un preoccupante messaggio: Moretti si è disinnamorato del cinema. E, nel suo stile, dichiara quanto odia fare un film (per lo meno oggi) facendo un film. L'affinità con il personaggio di Margherita Buy, regista, è infatti molto minore rispetto al palese transfert che il regista vero compie con il personaggio affidato a John Turturro, attore pressochè suo malgrado, che detesta tutto ciò che di fasullo e di irreale c'è nel cinema, mostrando una facciata giocosa che nasconde però un malessere pulsante nei confronti del suo mestiere. Che fare quindi quando la fantasia ci abbandona? Dove rifugiarsi al crollare del mondo irreale, ideale, quando ci rendiamo conto di non poter più sopportare la menzogna della rappresentazione e di doverci per forza adeguare all'atroce concretezza ineluttabile dei fatti reali? In parole povere: che senso ha il lieto fine nelle opere di fantasia, quando nella vita il suo analogo è quella cosa che comunemente chiamiamo 'morte'? Mia madre affronta tutte queste domande senza ovviamente darsi mai una risposta, altra caratteristica meravigliosa dei film di Moretti, che da sempre sfrutta le sue opere come affilati strumenti di auto-psicanalisi; ma contemporaneamente la sceneggiatura del regista stesso, di Francesco Piccolo e di Valia Santella mostra il fianco a più riprese, lasciando trasparire debolezze che non si sarebbero sospettate nel cinema dell'autore romano. Per esempio il finale poetico, bellissimo e posticcio: tutti e tre gli aggettivi all'ennesima potenza; oppure la presenza di una protagonista nevrotica (e a chi poteva toccare la parte, se non alla Buy? Ahilei) che ha tanto del solito personaggio di Moretti, ma ben poco di femminile, di personale, di vivo: sembra semplicemente un negativo della figura che Moretti ritaglia per sè (Giovanni), deus ex machina che compare di rado, fa sempre la cosa giusta e dispensa saggezza per tutti. Ciò che Giovanni non sa fare, cioè sbagliare, è appannaggio di Margherita. Le citazioni si sprecano, ma in fondo siamo pur sempre nel campo del metacinema: l'onirica coda felliniana fuori dal cinema, la conferenza stampa in stile Ricotta di Pasolini (ma lì c'era Orson Welles...), perfino la fuga di Piccoli in Habemus papam viene riproposta con toni surreali (l'anziana che sogna di scappare dalla clinica): è un Moretti minore, non più introspettivo del solito, ma semplicemente in aperta polemica con il (suo) cinema. Forse l'unica polemica che non aveva ancora sostenuto. 5/10.

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