Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Nanni Moretti porta sul grande schermo una sua dolorosa esperienza autobiografica, la scomparsa della madre, avvenuta nel 2010 durante la lavorazione del film “Habemus Papam”. Per fortuna, però, Moretti si ritira dal centro della scena ed ha la brillante idea fare del personaggio protagonista un suo alter ego al femminile, affidato alla bravura di Margherita Buy.
La regista Margherita, che sta girando un film impegnato sulla protesta degli operai di una fabbrica in crisi rilevata da un industriale americano, riceve dai medici la notizia che il male di cui soffre la madre Ada, insegnante di lettere del liceo ora in pensione (come la madre di Moretti), non dà speranze di guarigione. Margherita, a differenza del più razionale fratello ingegnere Giovanni (il ruolo che Nanni Moretti riserva a se stesso), non si rassegna ad accettare lo spegnersi di una figura così fondamentale. Il film segue il percorso doloroso che Margherita deve affrontare, tra nottate nelle corsie d’ospedale e ricorrenti sogni angosciosi, nell’attesa dell’inevitabile abbandono, dovendo fare i conti con la frustrazione e l’impotenza per non poterlo evitare (la scena in cui Ada non riesce nemmeno a camminare dal letto d’ospedale al bagno e Margherita, dopo aver cercato invano di aiutarla, le urla contro esasperata “Sono solo tre metri!”). All’esasperazione di Margherita fa da contraltare la tranquillità proprio di Ada, donna mite e gentile, che non perde la sua serenità nemmeno nel pieno di una malattia mortale, e si preoccupa piuttosto di aiutare la nipote nelle versioni di latino.
Nonostante tutto la vita continua, e Margherita deve portare a termine il suo film sulla protesta degli operai di una fabbrica in crisi, anche se diventa sempre più difficile per lei governare il turbolento set e gestire l’accudimento della madre in ospedale e l’elaborazione del lutto che sta per compiersi ( e i problemi anche nella vita sentimentale non l’aiutano). L’arrivo sul set dell’ingestibile divo americano Barry Huggins (John Turturro), che millanta di aver lavorato con Kubrick e non riesce a ricordare le battute, ritardando la lavorazione con le sue bizze, certamente non l’aiuterà. Le scene sul set cinematografiche sono quelle in cui si ride, in cui Moretti fa dell’(auto)ironia (anche spietata) sul mondo del cinema e sul mestiere del regista, in contrapposizione alle scene all’ospedale e nell’appartamento pieno di libri di Ada, i luoghi in cui si attende e si consuma la perdita. Essendo un’opera autobiografica, “Mia madre” non poteva non essere anche un film sul cinema, e quindi sul rapporto tra realtà e finzione (e l’urlo di Huggins-Turturro “Voglio tornare alla realtà!!” ci fa intuire una disillusione verso il mondo della finzione cinematografica).
Margherita Buy splende in una delle sue migliori interpretazioni, sicuramente la scelta migliore per un personaggio fragile e nevrotico, una donna dalla vita confusa e solitaria, che sul set deve essere autorevole, ma rivela tutte le sue insicurezze e senso di inadeguatezza nel momento della perdita di un punto di riferimento: un ruolo che permette alla nostra grande attrice di utilizzare tutte le sfumature del suo registro interpretativo, riuscendo a rendere Margherita un personaggio autonomo e non una semplice proiezione al femminile di Moretti. Ottimo John Turturro, strabordante e sopra le righe, come il ruolo richiede. Brava anche Giulia Lazzarini, che interpreta Ada. Se bisogna trovare un difetto al film, questo è Moretti attore, che, più che “mettersi accanto al personaggio” (come Margherita consiglia sempre ai suoi attori), fagocita con la sua personalità il personaggio di Giovanni, a cui sarebbe giovato l’essere interpretato da un altro attore e non esprimersi col tono pedante e saccente del regista.
Fin dalla scena iniziale il film mi ha colpito (ed io non sono un fan morettiano per partito preso), poi nel prosieguo mi ha sempre più coinvolto e convinto, per come ha saputo tenere in perfetto equilibrio risate e lacrime, alternando la realtà, il mondo della finzione cinematografica e le bellissime scene oniriche, fino al finale nonostante tutto venato di speranza (“Mamma, a che stai pensando?” “A domani”) e per come ha saputo rappresentare con pudore e delicatezza un dolore così intimo e profondo, evitando i piagnistei e optando per uno stile asciutto, ma non per questo meno commovente. A mio parere il capolavoro di Nanni Moretti insieme a “La Stanza del Figlio” (significativamente i due film che hanno al centro la perdita di un familiare e l’elaborazione del lutto).
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