Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
La regista Margherita accoglie - non senza intoppi - l’attore americano Barry Huggins (John Turturro), star del suo nuovo film dedicato alla resistenza degli operai in una fabbrica in svendita. Nel frattempo, cerca di gestire la difficile degenza della madre (Giulia Lazzarini), ricoverata con gravi problemi di cuore. L’aiuta il fratello Giovanni (Nanni Moretti), che invece sta scegliendo di lasciare il lavoro. Due piani narrativi principali (le riprese del film e la malattia terminale della mamma) si mescolano ad altri non meno importanti (il rapporto di Margherita con la figlia adolescente e con l’ultimo fidanzato, che lavora con lei e non gliele manda a dire) in una commistione tra pubblico e privato mai risolta soltanto a livello di finzione. Moretti ha voluto legare alcuni spunti di Mia madre all’esperienza personale e alla lavorazione di un altro suo film, Habemus Papam, sul set del quale venne a sapere della scomparsa della madre Agata Apicella. A questo si aggiunga che fu il “pontefice” Michel Piccoli ad avere durante le riprese la reazione che in Mia madre ha Turturro nella scena della mensa. L’identificazione tra l’autore e Margherita è pressoché totale, a sorpresa anche autoironica e per nulla assolutoria circa qualche stereotipo che ne circonda la figura («il regista è uno stronzo» grida lei a un certo punto, rivolgendosi alla troupe, «e non ha sempre ragione!»). Una storia in fondo intima e dolorosa risolta con una leggerezza (prima di tutto estetica) straordinaria. Questo nonostante una struttura non lineare, dove realtà e sogno, in maniera ancora più evidente rispetto a Habemus Papam, si compenetrano, a volte senza soluzione di continuità. Margherita gestisce il suo set come le cose della vita, con nervosismo e ansia. L’intuizione è che questa sua condizione non sia semplicemente funzionale al personaggio e al racconto, ma coincida con lo sforzo titanico di organizzare e tenere sotto controllo la realtà, il mondo. La consapevolezza della vanità di questo tentativo crea l’empatia fortissima verso protagonisti nei confronti dei quali è difficile restare solo “accanto”, come di solito si chiede a uno spettatore nel suo viaggio attraverso la visione. Rispetto a Giovanni, essenziale e riflessivo, si ha l’impressione che Moretti (con gli sceneggiatori Francesco Piccolo e Valia Santella) abbia voluto definire un alter-alter ego. Margherita è come è, il fratello come vorrebbe essere. Mia madre trasforma questa sorta di bipolarismo autobiografico in romanzo, a tratti, dato il linguaggio, sperimentale. L’elaborazione del film è solo cominciata. Di sicuro, per ora, c’è soprattutto che è bello.
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