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Something Must Break

Regia di Ester Martin Bergsmark vedi scheda film

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La recensione su Something Must Break

di EightAndHalf
8 stelle

Amore obnubilante.

 

<<La regia, più che come uno sguardo, funziona come una lingua. Da qui il mio interesse ad utilizzare la telecamera a spalla>> [Ester Martin Bergsmarck].

 

 

L’amore come autoannullamento, come via preferenziale e più consolante per un cupio dissolvi inevitabile. <<Siamo tutti sopra un mucchio di rifiuti>>, questo è l’ultima frase dell’eccezionale film di Ester Martin Bergsmarck, Something Must Break, un film di umori e di odori, ricchissimo di effetti sinestetici e arricchito da una voce fuori campo che funziona come rare altre volte: essa non ha la semplice funzione di illustrare cosa stiamo vedendo, ma è nella posizione di un flusso di coscienza privo di definizioni, fatto di stracci di idee e di sentimenti che difficilmente hanno un referente concreto, se non nell’espletare le pulsioni corporali più opprimenti.

 

Sebastian è un ragazzo dalle vistose fattezze femminili, soprattutto per quanto riguarda il volto efebico e la capigliatura: il corpo va certo in tutt’altra direzione. Andreas è un giovane ragazzo etero che finisce nella spirale erotico-affettiva che desta Sebastian, non riuscendo però a tirare fuori quest’ultimo dalle sue pericolose abitudini sessuali che lo spingono ad intrecciare relazioni carnali con sconosciuti. Sebastian è, alla luce di tutta la sua vita, un aspirante suicida che cerca sempre una sorta di catartica morte emotiva nell’atto di un autoumiliazione. Egli costituisce uno dei personaggi più interessanti del cinema contemporaneo, e anche uno dei più autodistruttivi e profondamente compromessi dal mal di vivere più profondo. Non è nell’interesse di Bergsmarck riproporre l’annosa questione dell’accettazione, che tanto fa sbraitare i registi più svariati, ma vuole entrare nel rapporto amoroso e profondamente carnale che lega i due protagonisti che mai riescono a spingersi verso la vita e a sopravvivere, di fronte al loro male esistenziale. Giocando profondamente con luci ed ombre, e raggiungendo spesso effetti espressionistici che rivelano la non-volontà di cercare il realismo, Bergsmarck costruisce un amore profondo e ambiguo, fatto di tira e molla, di legami indissolubili, di annegamento nel piacere fisico e nell’attrazione affettiva, sempre in grado di non inserire una vera e propria linea narrativa ma giostrando il tutto come un costante motore verso la morte, l’inanità, il Nulla. Pur nella gioia dell’unica cosa che sembra essere sopravvissuta, ma che sembra anche rivolta verso una fine: il rapporto umano.

 

Legati dall’illegalità e dalle pulsioni, Sebastian ed Andreas vivono il loro idillio mortuario che corrisponde, stranamente, a un film eccezionalmente vitale, dinamico, estetizzante, che spesso si riserva sequenze di uno splendore imprevedibile ed eccezionale, anche se sempre crudo ed estetizzante: due sequenze di sesso sono riprese con un ralenti alla stregua del miglior ultimo von Trier. Momenti in cui la regia-lingua sfigura di fronte a un’estetica pittorica che riprende quasi l’iconografia del martirio (lo stesso regista ha dichiarato un riferimento a san Sebastiano). Dunque un film volutamente discontinuo, abbastanza brutale, ma al contempo straordinariamente delicato, che vive dell’umore dei protagonisti e dei loro dubbi più profondi ed insanabili. Da recuperare assolutamente.

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