Regia di Lech Majewski vedi scheda film
La frase che dice "non è bello, ma è affascinante", in genere la si usa per le persone che in qualche modo hanno attratto la nostra attenzione, ma non fino in fondo. La si può applicare perfettamente a quest'opera del regista polacco. Il viaggio esistenziale di Adam, il protagonista, si è spezzato o, meglio, ha subito una drammatica svolta dopo un incidente stradale, che oltre a lasciargli un profonda ferita sul volto, gli ha tolto la donna amata e il suo migliore amico. Da quel momento, Adam, poeta e insegnante di poesia, vive in un limbo, stritolato fra il meccanismo del mondo moderno, freddo, razionale, controllato, e il sogno, in cui si rifugia spesso, abusando di pillole per dormire, in cui ritrova la visione poetica da lui perduta e, soprattutto, coloro che non ci sono più, dal padre, all'amante, all'amico. Majewski imbastisce un film sontuoso, pittorico, profondamente intellettuale, alto, e lo contamina con la Polonia del 2010, scossa da varie tragedie nazionali. Non contento, infila simboli e simbolismi, (il serpente, la colomba, l'acqua), a cui abbandona il volto triste e malinconico di Adam e, in parte, anche noi che lo guardiamo. Il tema della morte, dell'inconsistenza di Dio, è in primo piano, e sorretto dalle parole di Dante, anche Adam scende nel suo inferno fino a raggiungere il canto finale, il Paradiso, che chissà, forse, lo libererà, in un amplesso visivamente splendido, sospeso a mezz'aria. Tanta roba, come si dice in gergo, e anche tanta materia oscura, per una visione difficile, angusta, con qualche sprazzo di luce. Non è un film bello, ma affascina, appunto. Probabilmente se ne starà in qualche angolo della mente (o del cuore), a germogliare o a farsi dimenticare. Chissà.
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