Regia di Lech Majewski vedi scheda film
“L'ingresso del tunnel risplende folgorante di luminosa brillantezza come un pianeta enorme. Tra le sue estremità luccicanti una figura nuda, indistinta, si erge dandoci la schiena. Ci sta chiamando?
La morte non esiste, essendo stata sostituita da una simbiosi di piante, animali e persone.
I loro corpi fusi si intrecciano in una danza armoniosa. Bosch sta dicendo che non esiste altro paradiso se non quello che creiamo noi stessi nelle nostre brevi esistenze. Senza giudicare, ma osservandolo. Assaporando la polpa dei frutti perché, dopo tutto, è concesso: nel giardino delle delizie tutto è permesso”.
Il gran regista polacco Majewski, indissolubilmente legato al mondo dell'arte figurativa e della letteratura, torna alla regia a dieci anni dal suo esordio e prima del celeberrimo I colori della passione, con questo anomalo, affascinante, irritante mockumentary in cui, prima di Bruegel, l'opera trittica immensa, corale e minuziosa del maestro Hieronymus Bosch, ovvero appunto Il giardino delle delizie, diviene lo strumento, il teorema utile e necessario per spiegare i misteri, le crudeltà, i piaceri effimeri che la vita ci concede per poi sottrarceli nel modo più feroce ed ingiusto.
L'incontro fortuito, ma dirompente, tra due persone colte, intelligenti ed istruite, ma anche esteticamente attraenti e non certo immuni al fascino del desiderio ed ai richiami voluttuosi della carne, permette ai due, utilizzando come base il capolavoro del pittore olandese, di dimostrare - ognuno utilizzando il proprio apparato di conoscenze e le rispettive scuole formative, quanto mai lontane ed antitetiche le une dalle altre - come l'uomo sia stato in grado di creare egli stesso quei limiti e quelle barriere – inferno e paradiso – per dare una risposta all'incubo più difficile da accettare: la effimera, vacillante, incerta permanenza dell'uomo sulla Terra e la precaria instabilità della sua posizione, che lo costringe ad abbandonare quell'equilibrio fatto di piacere e realizzazione che a fatica egli si è riuscito a conquistare lottando con tutte le sue forze.
L'incontro tra una avvenente critica d'arte ed un affascinante ingegnere, suggella a Venezia una storia d'amore focosa e altamente erotica in cui la donna cerca di concludere in estasi una vita votata ad ammirare l'arte e la sua capacità di celebrare e dimostrare la meraviglia del creato.
La donna è succube di un tumore alla gola e poco tempo le rimane da vivere. L'ingegnere la asseconda, riuscendo a dimostrare, dal canto suo, come le teorie legate all'arte e a ciò che essa tenta di rivelarci, possono coincidere grazie all'applicazione di principi fisici e chimici che sembrano davvero assecondare le teorie più apparentemente indimostrabili legate al significato della vita e al mistero del creato.
In una Venezia sinistra ed inquietante come ai tempi del celebre thriller di Roeg (A Venezia ... un dicembre rosso shocking), cupa e grigia come raramente ci viene mostrata, concentrazione tetra e sinistra di acqua stagnante (che non impedisce all'enigmatico uomo di scienza di tuffarvicisi dentro, dall'alto dei ponti che uniscono i quartieri attorno ai canali) e monumenti meravigliosi ma perennemente minacciati dall'erosione, e dunque destinati a perdersi per sempre, Majewski riesce a stordirci e ammaliarci con monologhi e confessioni che hanno una forte capacità di attrazione ed evocativa.
E riproducendo con ironia, e uno spiccato senso di erotismo un pò retrò, nonché minuziosa cura nei particolari, singole situazioni ed atteggiamenti che il famoso trittico contiene nella sua infinita densità di soggetti, animati e non.
Purtroppo la tecnica del mockumentary, nata con l'horror ma dilagata anche in certi esperimenti d'autore come il qui presente, finisce per infastidire puntualmente, pur in presenza di una materia ed un soggetto altamente affascinanti, di riflessioni sulla vita, sull'arte, sulla scienza che cerca di dimostrare i dogmi di una natura creatrice ed insondabile. Risultato: quello di svilire e appesantire la materia, con riprese rozze ed una fotografia qualunque che rende sciatte, quasi ridicole o paradossali certe situazioni ed atteggiamenti bizzarri e al limite dell'hardcore casalingo, rappresentati con cura nei dettagli dai due ispirati protagonisti.
Situazioni imbarazzanti, tuttavia salvate in extremis dalla profondità della materia e dalle potenti riflessioni che il capolavoro del maestro pittore olandese alimenta, illuminando con la sua arte e il suo potere rappresentativo, un quadro d'insieme che il regista riuscirà a perfezionare mirabilmente nel suo successivo e visivamente stupefacente “I colori della passione”.
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