Regia di Lech Majewski vedi scheda film
10 anni dopo essere stato prodotto, The Garden of Earthly?Delights trova una breve tenitura italiana per merito della Cineteca di Milano. Complementare a I colori della passione - che aggiornava il critofilm (la didattica cinematografica d’arte) all’epoca del digitale, entrando in Salita al Calvario di Bruegel il Vecchio, approfondendone i dettagli e raccontando le figure nel paesaggio, un popolo, un’epoca, la?Storia - questo film di Majewski, come l’incontro assurdo di Greenaway e Van der Keuken, mette in scena un movimento opposto. Dalla vita al quadro. E non viceversa: cinema di fiction che parte dalla messa in scena di un possibile reale, racconta d’esistenze che cercano risposte nell’arte, perché nell’arte vorrebbero continuare a esistere. Così la macchina da presa con cui Chris, il protagonista, registra ogni cosa, è anche il modo in cui cerca d’eternare in immagine la vita dell’amata Claudia, che lentamente, consumata dal cancro, se ne va. Lui studia il rapporto aureo, la simmetria perfetta che governa la natura, lei si sta dedicando a un dottorato in storia dell’arte su Bosch. Insieme affrontano il fallimento della medicina, rendono attuali, imitandole nei giorni e nelle notti che stanno per scadere, le figure di Il giardino delle delizie. E lo fanno per raggiungere in terra un paradiso impossibile, mentre i loro corpi assaggiano l’amplesso terribile di eros e thanatos, le piccole morti che tentano di cancellare quella che sopraggiunge. E il cinema si consacra come gesto ultimo, lacerante e fallimentare, non d’intrattenere qualcuno, ma di trattenerlo.
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